Porsche Story: 35 anni di turbo

Porsche Story: 35 anni di turbo

di Redazione

06.04.2010 ( Aggiornata il 06.04.2010 11:35 )

Michael May era un ex-pilota ed ingegnere svizzero che all’inizio degli anni Settanta, in Europa, godeva di una certa notorietà. Fu infatti il primo a proporre dei kit aftermarket per installare una turbina sul 6 cilindri 2.3 della Ford Capri. Ebbe un successo tale che nel 1971 quella coupé era ufficialmente battezzata “Turbo May”. La vettura incuriosì anche Ferdinand Piech, all’epoca direttore del reparto ricerca e sviluppo di Porsche. Lo incuriosì talmente che, non soddisfatto dei risultati ottenuti nel 1969 con un prototipo di 911 Turbo 2 litri turbo, fece ordinare quella Capri presso una concessionaria Ford di Stoccarda. Ma una volta portata a Weissach e messa in pista, la delusione fu tale che la Turbo May venne subito rispedita al mittente: la gestione del turbo era talmente acerba e rudimentale che la macchina risultava inguidabile.
Ma Piech, la Porsche Turbo, la voleva a tutti i costi. Quindi impose ai suoi ingegneri di trovare una soluzione che calzasse a pennello alle caratteristiche del sei cilindri boxer. Quella soluzione venne trovata, nel 1971, presso la Kühnle, Kopp & Kausch, meglio nota come KKK. E una volta superati i tanti problemi iniziali (temperature, dimensioni della turbina, riduzione del turbo-lag, eccetera), iniziò a dare buoni frutti. Tant’è che il passo successivo fu quello di sperimentare la soluzione nel mondo delle corse, per accumulare l’esperienza necessaria da trasferire poi nella produzione di serie. La scelta cadde sul campionato CanAm, per via dei regolamenti non troppo restrittivi che non imponevano limiti di cilindrata per i motori sovralimentati. Ecco allora che la palla passò all’ingegner Hans Mezger, il cui compito fu quello di sistemare un turbocompressore sul 12 cilindri di 4.5 litri della nuova 917/10, che nel frattempo (1971) era pronta per scendere in pista al posto della 917 PA. All’inizio della stagione ‘72 la 917/10 sovralimentata entrò quindi nelle file del team Penske con una carta d’identità invidiabile: 1000 cavalli buoni per farle dominare e vincere l’intero campionato CanAm, e pure il corrispettivo europeo Interseries



L’anno successivo, il 1973, arriva un’evoluzione: la 917/30 il cui 12 cilindri raggiunse i 5,4 litri di cilindrata e i 1200 cavalli di potenza, che con 800 kg di peso garantivano uno 0-100 in 2”4 ma soprattutto uno 0-300 in 11”3! Ancora una volta il titolo CanAm è di Porsche, e prima di andare in pensione quella vettura ne combinò un’altra: con il motore spremuto fino a 1500 cavalli, sull’ovale di Talladega e con Mark Donohue al volante segnò un record con velocità media di 355,86 km/h!
I due anni d’esperienza in CanAm diedero i risultati sperati. Nel frattempo, inoltre, venne introdotto un nuovo regolamento sportivo per vetture di produzione, il Gruppo 5. Sommate le due cose, ed ecco che ogni dubbio riguardo all’avvio di una 911 Turbo di serie svanì immediatamente: gli ingegneri si buttarono a capofitto per “turbare” l’esistente Carrera 3.0 RSR stradale, mentre parallelamente nasceva la RSR Turbo 2.1 per le competizioni: 2 metri di larghezza per 500 cavalli. Un assaggio della versione di serie arriva al Salone di Francoforte del 1973: di colore argento, la “noveundici” era identica alla Carrera RSR 3.0 fatta eccezione per la coda, ben più larga e con la parola magica “Turbo” sui passaruota posteriori. Solo un prototipo però, a detta degli addetti stampa. Per quella vera, definitiva, occorre aspettare il Salone di Parigi ‘74, quando arriva la 911 Turbo 3.0 da 260 cavalli, la capostipite di tutte le Porsche sovralimentate.
Il primo esemplare prodotto lo riceve come dono di compleanno la moglie di Piech, Louise, da suo fratello Ferry Porsche. Mentre i clienti potevano acquistare la vettura in concessionaria al prezzo di 65.800 marchi tedeschi, ben 17mila in più rispetto a una Ferrari 308 GT4. Era costosissima, e tra l’altro debuttava in piena crisi petrolifera. Eppure la 911 Turbo ha ottenuto subito un enorme successo, forte anche di prestazioni e caratteristiche tecniche d’avanguardia: il suo 6 cilindri 3 litri turbo spremeva 260 cavalli, copriva lo 0-100 in 5”4 e molte erano le soluzioni ereditate dal motorsport, a partire dalle sospensioni prese pari pari dalla RSR e dai mozzi ereditati dalle 917, senza contare un cambio a 4 marce specifico per sopportare la coppia di 35 kgm e l’iniezione Bosch K-Jetronic.

Nel frattempo procede anche l’evoluzione del tema Turbo sul fronte delle corse. Dopo la RSR 2.1, Porsche dà il via al progetto 935 per la stagione 1976, di fatto una 911 con una silhouette ben più profilata rispetto alla serie. La 935 è stata una delle Porsche più vittoriose di sempre, specie nelle gare di durata. E per sbaragliare la concorrenza vennero allestite diverse versioni, per adattarsi ai vari regolamenti sportivi. Come ad esempio la 935/2.0 “baby”, per la categoria entro i due litri di cilindrata, che pur con un boxer di piccole dimensioni erogava 590 cavalli.
E successivamente, quando la cilindrata venne ridotta a 1.5 litri, i cavalli erano pur sempre 380. La più potente della famiglia 935 resta invece quella costruita per la stagione 1978: la coda era allungata e affusolata, tanto da guadagnarsi il soprannome di Moby Dick: era la 935/78 da 845 cavalli. Un anno prima, nel ‘77, arriva invece la prima evoluzione della Turbo stradale. Era quasi identica alla 3.0 fatta eccezione per le ruote (da 16” anziché 15”) e soprattutto per l’ala posteriore con un supporto molto più spesso, perché doveva contenere l’intercooler prima assente. Con motore portato a 3.3 litri e una potenza di 300 cavalli, questa 911 è stata la Turbo più longeva di sempre, visto che restò in servizio fino al 1989 pur con continue modifiche e migliorie nel corso degli anni, compreso il debutto delle varianti Targa e Cabriolet.
 Parallelamente, in pista, Porsche continua a mietere successi. Con la 936 Spyder, una barchetta ovviamente sovralimentata, la Casa di Züffenhausen si aggiudica la 24 Ore di Le Mans nel ‘76, ‘77 e ‘81. Ma il massimo dell’evoluzione quando dal cappello dell’ing. Hans Mezger esce la 956 C: la prima Porsche da corsa con telaio monoscocca ed effetto suolo, spinta dal 6 cilindri boxer di 2.65 litri da oltre 620 cavalli. Un motore potente ma efficiente sotto il profilo dei consumi, tanto da consentirle di piazzarsi, già al debutto, ai primi tre posti di Le Mans e di vincere il titolo piloti e costruttori.
Nel 1985 arriva l’evoluzione, con passo allungato, sovralimentazione differente e un raffreddamento misto aria-acqua: si chiama 962, e assieme ai successi della precedente 956 consente a Porsche di incamerare la bellezza di 51 titoli in svariati campionati di tutto il mondo e sette 24 Ore di Le Mans. Poco dopo quel periodo, arriva invece una importante evoluzione della 911 stradale: nel 1989 debutta la serie 964, che per la prima volta introduce la trazione integrale. E l’anno successivo, con vendite a inizio ‘91, è la volta della Turbo (a trazione posteriore), sempre caratterizzata dai fianchi larghi e dal motore che resta a quota 3.3 litri e con 320 cavalli. Poca roba più della precedente serie, ma sarà sufficiente aspettare il 1993 per vedere una nuova Turbo, sempre serie 964, con motore portato a 3.6 litri, cilindrata che si porterà appresso fino a qualche mese fa. Con la Turbo 964, tra l’altro, Porsche vinse il campionato americano IMSA Supercar nel ‘91, ‘92 e ‘93; mentre con la Turbo S, sempre nel ‘93, l’equipaggio Röhrl, Stuck e Haywood si aggiudicò la classe alla 24 Ore di Le Mans.
Corre l’anno 1995 e arriva un’altra significativa evoluzione: con la serie 993, ultima Carrera della storia con raffreddamento ad aria, la versione Turbo sfonda il muro dei quattrocento cavalli (408 per la precisione) si converte per la prima volta alla trazione integrale e la sovralimentazione è affidata a due turbine anziché alla singola dei vent’anni precedenti. Anche di questa realizzano una versione “S” (345 esemplari e 450 cavalli), mentre pochi sanno che il reparto Porsche Exclusive costruì anche 14 pezzi di 993 Turbo Cabriolet. Durante la metà degli anni Novanta è da segnalare anche l’avvento di una delle ultime supercar da corsa che avevano qualcosa da spartire con la 911 stradale. Parliamo della 911 GT1, vittoriosa a Le Mans nel ‘98, spinta da un sei cilindri boxer turbo da circa 600 cavalli — il cui basamento è impiegato ancora oggi sulla GT3 stradale — e che ha traghettato la noveundici, stilisticamente, dalla serie 993 alla 996. La belva da corsa, infatti, ben prima del debutto della nuova generazione della 911 correva con i fanali posteriori che sarebbero stati poi adottati dalla 996.
La quale arriva nel 1998 creando non poco scompiglio fra i porschisti: questo modello ha dato l’addio al raffreddamento ad aria in favore di quello ad acqua e le similitudini con la piccola Boxster erano evidenti, dentro e fuori. E difatti, proprio per via di queste economie di scala, la cosa buona era che la 996 Turbo costava esattamente come la 993 Turbo. Fatto che probabilmente ha contribuito al successo di questa versione, poiché nonostante tutto, dal 2001 al 2005, è stata la Porsche sovralimentata più venduta di sempre, con 20.499 unità. Ha goduto più o meno dello stesso successo la serie successiva, ossia la 997 Turbo uscita nel 2006. La quale, fermo restando lo schema a trazione integrale e le due turbine, aggiunge un’ulteriore raffinatezza tecnologia: i turbo a geometria variabile, soluzione più unica che rara applicata a un motore a benzina. E che si è ulteriormente evoluta oggi con il motore portato a 3.8 e dotato di iniezione diretta.

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