Aston Martin 100, storia di un mito, prima puntata

Aston Martin 100, storia di un mito, prima puntata
Il celebre marchio inglese festeggia la nuova proprietà italiana

di Lorenzo Facchinetti

15.01.2013 ( Aggiornata il 15.01.2013 10:34 )

Forse non si immaginavano nemmeno loro di festeggiare così cento anni. Aston Martin, nata  il 15 gennaio del 1913, entra nel suo primo secolo di vita con i migliori presupposti. Un’iniezione di fiducia, ma soprattutto di denaro liquido, da parte di Investindustrial, la società di Andrea Bonomi specializzata nel risollevare le sorti di grosse aziende. Il manager milanese,  se parliamo di motori, l’aveva già fatto nel 2006 acquistando la Ducati dai texani. L’ha rimessa in sesto e poi venduta in splendida forma all’Audi l’anno scorso. E con Aston Martin potrebbe accadere una cosa simile. Investindustrial entra a Gaydon con 185 milioni di euro, quel che è bastato per rilevare il 37,5% delle quote e divenire così l’azionista di riferimento. E la prima mossa sarà quella di destinare oltre 600 milioni di euro in ricerca e sviluppo per i futuri prodotti, affiancati magari da un partner tecnico che probabimente sarà Mercedes per i motori e le trasmissioni. Perché Aston, allo stato attuale delle cose, non avrebbe potuto campare a lungo soltanto con un’architettura e due propulsori, difatti l’azienda è in perdita. Ha bisogno di tecnologia e di nuovi modelli — vedi un Suv di lusso, già nel cassetto — per conquistare quelli che sono i suoi mercati di riferimento: Cina, Russia, Medio Oriente, Stati Uniti, perché di sola Europa non campa più nessuno. Il 2013, l’anno del centenario, sarà dunque l’inizio di un periodo decisivo per il marchio inglese. La cui storia è sempre stata molto travagliata. Si parte nel 1913 con l’imprenditore e pilota Lionel Martin, che fonda l’azienda assieme al progettista Robert Bramford. Parte del nome deriva quindi dal primo socio fondatore, il quale dopo aver partecipato a una gara in salita ad Aston Clinton decide di battezzare la sua fabbrica di auto proprio Aston Martin. Ma l’avventura finisce presto, nel 1925. E negli anni a venire è un susseguirsi di passaggi di mano da parte di vari nobili inglesi che con la stessa velocità con cui l’acquisiscono la mollanno pure. Il successo arriva soltanto nel 1947 quando l’azienda viene acquisita dall’industriale David Brown (ecco perché i modelli si chiameranno DB): il signor “DB” sposta la produzione a Newport Pagnell (oggi sede di Aston Martin Works), acquista il marchio Lagonda, dà il via alla produzione delle più belle Aston di sempre (dalla DB2 alla DB5 di Bond) e si dà pure alle corse vincendo Le Mans e altre classiche di durata con la DBR1. Ma il sogno diventa un incubo all’inizio degli anni Settanta. David Brown la molla, l’azienda finisce nelle mani di svariati piccoli investitori e la produzione è limitata a sgraziate e grosse coupé fino alla fine degli anni Ottanta. L’incubo sembra finire nel 1993, quando Ford si dà allo shopping e compra in un sol colpo Aston Martin, Jaguar, Land Rover, Mazda e Volvo dando vita al PGA, il Premier Group Automotive. Il lato positivo della vicenda è la nascita della piccola Vantage e della Vanquish, dell’attuale stabilimento di Gaydon, della produzione motori a Colonia. Ma nel 2006 Ford capisce che il PGA è solo una rimessa e l’Aston torna sul marciapiede, in attesa del passaggio di David Richards della Prodrive e di vari investitori che la traghetteranno fino a oggi sotto la illuminata guida di Ulrich Bez, che in soli dieci anni riesce a portare la produzione a livelli record. 1- Continua  

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