Nissan Leaf, la vera auto elettrica. L'abbiamo provata.

Nissan Leaf, la vera auto elettrica. L'abbiamo provata.

di Redazione

19.10.2009 ( Aggiornata il 19.10.2009 15:39 )

L'automobile elettrica è sempre più vicina. Non si tratta di teoria, ma di realtà: Nissan ha presentato la prima vettura di questo genere che verrà messa in produzione di serie, la Leaf EV.
Il vostro cronista di Auto, Enrico De Vita, era a Yokohama a provarla. Prima di laciarvi al suo resoconto, va detto che la Leaf EV avrà un prezzo molto competitivo, dovrebbe costare circa 18.000 euro, ma senza batterie e proporrà caratteristiche davvero interessanti.
Avendo dimensioni medie, è lunga 444 cm, è dotata di un motore elettrico sincrono a corrente alternata che eroga 109 cv con una coppia di 28,5 kgm. Le batterie sono agli ioni di litio. L'autonomia è di 160 km, la velocità massima di 140 km/h e i tempi di ricarica sono di 30 minuti presso stazioni a 400 V e 8 ore da casa. Non male per una Zero "Emissioni", che al km costerà molto meno delle auto a benzina, diesel, GPL, metano ed ibride.
Altra "chicca", Apple e Nissan hanno studiato un’applicazione che consentirà di visualizzare su un’iPhone i vari parametri di un’auto elettrica: lo stato di carica della batteria, l’autonomia della stessa e persino la temperatura interna dell’abitacolo.


"Volevamo stupirvi con effetti speciali”: è proprio questa la frase che ti viene in mente quando ti fanno accomodare all’interno di Leaf. Ed è sicuramente questa la frase-simbolo che ha guidato i tecnici Nissan nel progettarla.
Appena la osservi da vicino, infatti, provi la netta sensazione di trovarti di fronte a un veicolo di nuova concezione, diverso da tutti quelli che lo hanno preceduto. Se non temessimo di essere fraintesi, diremmo “un’auto dell’altro mondo”, in senso letterale, non figurato. Diciamo: l’auto “di una nuova era”, per non esagerare. Fuori spicca il cofano anteriore… che non c’è, non si apre. La carrozzeria è intera perché gli organi meccanici sono montati dal basso e non richiedono manutenzione periodica. Davanti c’è solo un piccolo sportello attraverso il quale si accede ai due sistemi di ricarica: quello veloce, da collegare con un connettore apposito a una stazione da 400 volt, capace di erogare centinaia di ampere; e quello domestico, da collegare alla rete di casa per circa 8 ore, che utilizza il regolatore di carica interno alla vettura. (segue dopo la scheda tecnica)


Sul portellone posteriore, un vistoso spoiler con piastra superiore di cristallo nero: è un piccolo pannello fotovoltaico, che in pieno sole può fornire 30-40 watt. Insufficienti per caricare il pacco di accumulatori, ma buoni per tener carica la batteria ausiliaria (è una normale batteria al piombo da 12 volt).
I fari sono tutti a led (così consumano molto meno), di nuovo tipo, con fondo a luce blu che richiama qualcosa di elettrico e disegni che lasciano intuire un grande sforzo innovativo. Per esempio, la carenatura dei fari taglia l’aria in modo da inviarla sopra e sotto gli specchietti retrovisori: così si riduce il Cx e la rumorosità da fruscio aerodinamico. Una plancia bianco-madreperla, come sono oggi certi personal computer, una strumentazione diffusa fatta di display colorati, che mandano in onda un programma originale di suoni e di luci, inventato appositamente per l’auto elettrica, tipo “guerre stellari”, per intenderci. Ancora, l’assenza della frizione, un pomolo a joystick che inserisce marcia avanti e retromarcia (ma ritorna sempre nella stessa posizione, tanto ci pensa lo schermo a dirti in che marcia sei.
L’imbarazzo di mettere in moto: già, perché — dopo cento anni di messa in scena di questo rito — ora non c’è più. L’avviamento va in pensione. Ti siedi, giri una chiave, non succede nulla; vedi solo tanti led che giocano sul display davanti ai tuoi occhi: non preoccuparti, i loro ideogrammi diventeranno presto familiari, puoi partire. E parti come un soffio, come il volo di una foglia, nel silenzio più assoluto. Anche nell’auto elettrica sono ormai un lontano ricordo i ronzii del chopper mentre regolava la intensità nei motori a corrente continua. O i fischi degli primi inverter, che assolvevano il compito dell’acceleratore variando la fase nei motori a corrente alternata. Per togliere ( o alleviare) la paura di rimanere a piedi, quando giri la chiave, ti appare sulla strumentazione la mappa geografica, con la tua posizione al centro e l’area circolare della massima distanza percorribile, a seconda della carica presente nella batteria. Durante la marcia il cerchio si stringe o si allarga in funzione del tipo di guida: dispendiosa o piede di velluto. Sulla stessa mappa sono anche indicate le colonnine di ricarica presenti nella zona.
Quando anche gli autogrill saranno dotati di stazioni di ricarica, dicono a Yokohama, si potranno fare lunghi viaggi autostradali, magari fermandosi a fare uno spuntino di 40 minuti, mentre le batterie si rifocillano col 70-80% della carica.
Qui siamo in un’altra dimensione: lo stato dell’arte. Dobbiamo riconoscerlo: rispetto ai veicoli elettrici che finora abbiamo guidato, c’è un salto generazionale.
Se solo avessimo più fiducia nelle attuali batterie, nella capacità del “serbatoio di energia”, potremmo dire che, finalmente, abbiamo superato l’auto col motore termico. Invece, c’è la lancetta (in realtà, è un istogramma a led) che indica la carica della batteria, e che — alla fine dei pochi giri di pista effettuati — mostra già di subire un sensibile … depauperamento, soprattutto quando si affonda il pedale per sentire la spinta istantanea di 280 Nm. È questa la sensazione più “gratificante” dal punto di vista tecnico, ed è anche la più nuova: poter premere alternativamente il pedale dell’acceleratore e avvertire che sotto il piede ci sono subito, istantaneamente, 80 kW (109 cv), che tu puoi modulare a piacere, in su e in giù, come il volume di un’autoradio. Senza dover attendere che il motore salga di giri, senza avvertire gli scompensi, la ruvidezza del motore termico, senza le forze alterne (e le coppie) di primo o di secondo ordine, senza le vibrazioni torsionali. Insomma senza i tanti segni congeniti di riconoscimento del motore alternativo a pistoni.

Enrico De Vita


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