Il caro benzina. Ecco perchè in Italia i prezzi sono alle stelle

Il caro benzina. Ecco perchè in Italia i prezzi sono alle stelle

di Redazione

31.01.2011 ( Aggiornata il 31.01.2011 11:48 )

Circola sul web – rilanciato da Beppe Grillo - un invito a boicottare per una settimana le pompe di benzina di Shell ed Esso, compagnie considerate “multinazionali” per eccellenza.
Dice, la provocante mail che molti di voi avranno ricevuto: “Non facciamo uno sciopero, continuiamo pure a comprare carburanti, ma boicottiamo Shell ed Esso rifornendoci da altre marche. Vedrete che quelle boicottate saranno costrette ad abbassare i prezzi per non perdere quote di mercato. E questo innescherà un processo concorrenziale che porterà anche le altre compagnie ad adeguarsi ai nuovi, più bassi livelli”.
Ha funzionato? Poco, per quanto riguarda l’adesione degli automobilisti, tanto a livello di preoccupazione dei petrolieri. Non so se ve ne siete accorti, ma Esso ha lanciato, proprio a cavallo delle feste natalizie, un supersconto di 10 centesimi al litro per i rifornimenti self effettuati in orari di chiusura, presso determinate stazioni.
Risponde in difesa Agip, che — mentre abbandona il glorioso nome per sostituirlo col glaciale Eni — promuove fino al 9 gennaio un concorso dotato di ricchi premi, con lo scopo, non dichiarato (ma evidente perché i premi maggiori sono a sorteggio), di fidelizzare il cliente. E di prevenire azioni di disturbo da parte di guastatori. Tuttavia, l’accadimento sui carburanti più commentato dai giornali è stato un altro: l’ennesima serrata minacciata dai benzinai per l’ultima settimana dell’anno e l’ennesimo accoglimento delle loro richieste da parte del Governo. Sono vent’anni che i gestori avanzano richieste alle compagnie coinvolgendo anche chi non c’entra niente. E sono vent’anni che ottengono quanto richiesto, sulle spalle di chi non c’entra niente.



OK, la scusa è buona

Intendiamoci, il bonus fiscale ai gestori delle pompe era stato promesso dall’Esecutivo, ma per mancanza di fondi non appariva nell’ultimo decreto “milleproroghe”, firmato a Natale. Il problema è che il bonus fiscale non è altro che una concessione privilegiata a pagare meno tasse, che alla fine ricade su tutti noi cittadini. Il balletto fra gestori e compagnie, col Governo in veste di mediatore, si è sempre risolto nella concessione di maggiori margini, cioè in aumenti progressivi del prezzo della benzina a carico degli utenti. Mai in provvedimenti che di fatto abbiano reso più concorrenziale la rete nazionale. Questa volta si è scelta una strada un po’ imbiancata: quella di far apparire immutato il prezzo alla pompa. In realtà, è solo un artificio, perché paghiamo in altri modi.
A far cambiare i prezzi, peraltro, ci ha pensato una vecchia abitudine della speculazione internazionale: quella di far crescere il Platt’s ogni volta che la scusa è buona. Probabilmente anche il Natale era una di quelle, visto che aumentano i consumi. Così come lo sono le vacanze estive, l’avvicinarsi dell’inverno, la riduzione delle scorte militari Usa, le liti in seno all’Opec. Il Platt’s è il listino ufficiale dei carburanti già raffinati, per consegne a distanza di tre mesi. Il prezzo del greggio non c’entra, o meglio non ce lo fanno entrare, così come non c’entra – almeno direttamente - il cambio euro/dollaro: conta solo il prezzo attuale dei due carburanti per consegne differite. Come dire che c’entrano tutte le manovre di chi ha comperato scorte di carburanti e scommette di rivenderle a prezzi più elevati quando il prezzo sale. E siccome il prezzo sale quando si lesina l’offerta, ecco che chi possiede navi cariche di petrolio, capitali da investire in greggio, depositi costieri e raffinerie ben dimensionate può gestire la faccenda. Che in termini più orecchiabili si chiama speculazione internazionale.

Mai così cara, la benzina

L’aspetto triste e incancrenito della faccenda è che i prezzi alle pompe in Europa si muovono sempre all’unisono quando si muove il Platt’s. Anche se non c’è legame diretto fra i due valori: infatti, quello è un listino futuro, mentre oggi si vendono carburanti prodotti mesi fa e gran parte di essi deriva da petrolio estratto da giacimenti di proprietà delle compagnie. Non dobbiamo poi dimenticare che in Italia circa l’8% della benzina venduta è ricavata da petrolio italiano, estratto in Basilicata, e che solo il 7% dei carburanti venduti da noi viene acquistato spot a Rotterdam, al prezzo Platt’s. In due parole: la benzina non viene considerata un prodotto da vendere e sul quale far valere le economie di scala e le leggi della concorrenza, ma moneta di scambio, denaro contante, come l’oro che si vende alla quotazione ufficiale anche se è stato pagato la metà.
Le compagnie petrolifere si difendono affermando che non sono loro a gestire la speculazione. É vero, ma poi non fanno nulla per affrancarsi dal Platt’s, cioè dal prezzo futuro stabilito dagli speculatori. Ecco perché all’inizio del 2011 i prezzi di benzina e di gasolio crescono ancora, nonostante il prezzo del greggio sia sceso a 90 dollari al barile e l’euro sia salito a 1,32 dollari. Oggi, i prezzi alla pompa sono più alti che mai, addirittura più alti di 20 mesi fa quando il petrolio aveva toccato i 150 dollari al barile.
E fin qui possiamo discutere in eterno, individuare chi sono gli speculatori, additarli alla pubblica condanna, giudicarli eticamente riprovevoli, ma non risolveremo nulla perché il mercato ascolta solo il tintinnio della moneta.

 


La tassa che tutti pagano

La parte più pesante e indigesta del prezzo dei carburanti è costituita dalle accise, cioè dalle tasse specifiche sugli idrocarburi. In Italia, dal 50 al 60% del prezzo alla pompa. Non siamo i più esosi del mondo, ma occupiamo le prime posizioni: la benzina è tassata fino a sfiorare 0,8 euro al litro, il gasolio un po’ meno (vedi tabella in alto). Ma il nostro Fisco ha l’insana abitudine di applicare anche un’Iva del 20% sul prezzo di vendita, tasse comprese. Quindi, paradosso dei paradossi, il Fisco è felice ad ogni aumento del costo industriale. Nel 2008 lo Stato ha incassato più di 36 miliardi di euro dalle tasse sui carburanti, più di quanto incassano gli Emirati vendendo petrolio. Nella tabella “Accise e Iva” abbiamo riassunto la situazione europea, separando l’imposizione  fiscale di benzina e di gasolio dal peso dell’Iva..
Ma sulle tasse non possiamo discutere: se non altro tassare i carburanti è un modo democratico e “antievasione” per contribuire proporzionalmente ai bisogni dell’Erario. Dove invece possiamo e dobbiamo intervenire è sulla situazione nazionale, sulla rete dei distributori, sulla logistica che li rifornisce, sulle regole che Regioni e sindacati fanno, disfano, rifanno e poi boicottano. E sulla latitanza dei governi che non sono mai stati capaci di affrontare con forza e lungimiranza la situazione. Da vent’anni abbiamo prezzi di vendita in Italia (tasse escluse) da 5 a 7 centesimi al litro superiori alla media europea. E se ci confrontiamo con i Paesi europei simili a noi, per quantità venduta e numero di raffinerie, la differenza è ancora maggiore e tocca uno “stacco” di 9 centesimi. Cos’è che non va?

Dove si spuntano i prezzi migliori? 

Se vi chiedessero: “In generale, dove si trovano i prezzi migliori, nei piccoli distributori o nelle grandi stazioni di servizio?
Risposta semplice: nei grandi distributori. Infatti, vendono quantità elevate di carburante e sono in grado di ricavare utili accettabili vendendo a prezzi inferiori. Il piccolo distributore, invece, deve campare con piccole quantità e deve giocoforza speculare al massimo su ogni litro di benzina. Quindi occorre ridurre il numero dei distributori. Anche perché abbiamo in Italia, nel 2010, oltre 24.000 distributori, più di qualunque altro Paese d’Europa. Perché non si riesce a portare a 18.000 il numero delle stazioni di servizio, come era stato solennemente promesso da gestori e compagnie 15 anni fa? Subito detto: ogni volta che i gestori lamentano di non riuscire a campare con i margini nazionali (che sono comunque più elevati di quelli percepiti dai colleghi tedeschi e francesi), invece di affidarli alle leggi di mercato, invece di invitarli a chiudere riscuotendo il premio di fine gestione (pagato, negli anni, dagli automobilisti con un aggio su ogni litro) chiedono un margine maggiore, lo ottengono e così sopravvivono. Fino alla ennesima minaccia di serrata, giacché nessun ministro dell’Industria ha mai avuto il coraggio di trovare soluzioni più geniali e razionali. Magari più banali che un aumento del prezzo della benzina.
Perfino le compagnie petrolifere nicchiano di fronte alla riduzione del numero degli impianti: dicono che l’automobilista è disposto a pagare di più pur di avere il distributore sottocasa.
Strana, una posizione così retrò, vero? Somiglia a quella che sostenevano 15 anni fa quando ritardavano l’ingresso in Italia delle pompe self-service “tanto gli italiani sono pigri”.E pensare che il numero degli impianti è in continuo aumento, grazie alle cosiddette pompe bianche, piccoli distributori anonimi che praticano prezzi più convenienti di 5-6 centesimi rispetto alle pompe blasonate, di ugual dimensione. Come fanno a vendere poco, a meno, e a sopravvivere? Semplice, hanno margini maggiori perché non investono in pubblicità, in impianti lussuosi e soprattutto in concorsi a premi. Quindi, ecco il secondo rimedio. I concorsi assorbono una quota rilevante (da 3 a 5 centesimi) che potrebbe essere devoluta a vantaggio di chi i concorsi non li vuole. E, infatti, le ultime campagne di Total, di Esso e di Agip prevedono sconti fino a 10 centesimi se ci si rifornisce a impianto chiuso. E si rinuncia, ovviamente, a pretendere i punti premio. Ma questo le campagne pubblicitarie non lo dicono.


Ecco chi rema contro

Perché non tenere aperti gli impianti automatici, senza personale, anche di notte? Perché i vari Governi hanno rinunciato a regolare la materia in modo uniforme e hanno preferito affidare alle singole Regioni questa semplice soluzione. Che decidono in funzione demagogica, territoriale, politico-elettorale, sindacal-popolare. Due esempi per tutte: la Q8 ha tentato in diverse Regioni di praticare sconti supplementari negli orari di chiusura: i sindacati si sono opposti chiedendo comunque la presenza (inutile) di un operatore.
La grande distribuzione potrebbe supplire alla funzione calmieratrice dei prezzi, se solo il numero degli impianti presso i supermercati potesse raggiungere il 10% del totale. Oggi siamo ancora al di sotto dell’1%, in Francia sono al 51%. Ancora una volta le Regioni concedono licenze col contagocce agli ipermercati e così mortificano il libero mercato.
La riprova? Guardate la tabella sugli orari di apertura degli impianti in Italia, a confronto con gli altri Paesi europei. Siamo gli ultimi e rimarremo in fondo alla classifica a lungo, perché nessuno degli attori — gestori, compagnie e politici — hanno interesse a cambiare le cose. Ma c’è di più. In autostrada, ove gli impianti sono aperti giorno e notte e dove il venduto giornaliero è elevatissimo, i carburanti hanno prezzi molto simili fra loro e più elevati (tranne poche eccezioni, per esempio alcuni distributori Erg) di quelli riscontrabili nelle grandi stazioni di servizio urbane, sia perché si tratta di impianti gestiti direttamente dalle Case petrolifere, sia perché su ogni litro venduto la concessionaria autostradale pretende una sua percentuale.





Buon viaggio col pensiero luminoso

Quanto poco trasparente e ingessato sia il mercato dei carburanti (e quanto distratta sia l’attenzione del mondo politico dal problema) si ricava da alcuni avvenimenti: — l’abolizione, nel 2002, della sanzione per omessa indicazione del prezzo alla pompa; — l’abolizione, nello stesso anno, dell’obbligo di indicazione del prezzo consigliato dalla compagnia.
Il doppio prezzo sarebbe invece l’unico strumento in grado di differenziare la politica delle varie Case petrolifere, capace di far comprendere all’automobilista se a far salire il prezzo è il gestore o il petroliere; — lo spegnimento dei totem autostradali che permettevano di leggere il prezzo prima di entrare nella stazione. Ragione nobilissima: ostacolavano la sicurezza del guidatore ( evidentemente “Buon viaggio con Telepass” appanna meno i riflessi ).
L’attuale soluzione dei cartelloni posti all’inizio dell’autostrada è solo un bell’esempio di come si può fare pessima informazione.
Infine, osservate la tabella pubblicata qui sotto. Mostra a cosa serve concedere alle stazioni di servizio di ampliare la lista dei prodotti in vendita, dal latte ai giornali. Le nostre pompe hanno un erogato medio di benzina che è la metà di quello di Germania, Gran Bretagna e Francia: ovvio che per vivere o vendono più carburanti o vendono altri beni: ovvero il cosiddetto “non oil”. Ed è esattamente quanto si fa negli altri Paesi, ove politici, burocrazia, sindacati e amministratori pubblici non remano contro. E non fanno lo “sciopero della benzina”.
Enrico De Vita


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