Volvo, nuovi sistemi sicurezza alla guida

Volvo, nuovi sistemi sicurezza alla guida
Insegna alla telecamera di bordo come riconoscere sagome e animali, confrontandoli con quelle in memoria. E inchiodando i freni, pur di non investirli. Ma c’è molto altro…

di Redazione

21.10.2013 ( Aggiornata il 21.10.2013 10:42 )

Come fanno i bambini a dare un nome agli oggetti e agli animali? Utilizzano le immagini semplici archiviate nel loro cervello e imparate all’asilo: un quadrato con sopra un triangolo è una casa, un rettangolo su 4 aste è un cane, un cerchio con un gambo è un albero. Crescendo, le immagini si perfezionano e si completano, le varianti diventano migliaia, ma di fronte a una immagine nuova – es. un tipo di animale sconosciuto - il cervello cerca di riconoscerlo facendo sempre la comparazione con gli stereotipi in archivio. La Volvo ha deciso di comportarsi allo stesso modo: alle telecamere che guardano in avanti, e che nel futuro aiuteranno il pilota nella guida, sta insegnando a riconoscere gli oggetti e, soprattutto, gli animali che possono pararsi davanti. E per insegnarlo ha impresso nei microchip le sagome degli animali pericolosi, così come appaiono da diverse angolazioni. Nei Paesi scandinavi il 90% degli incidenti con animali è provocato dall’alce, che attraversa di colpo la strada o cade davanti al cofano scivolando dalle rupi circostanti, come abbiamo sperimentato qualche anno fa in Norvegia. L’anno scorso, in Svezia, sono stati oltre 6000 gli incontri ravvicinati di tale tipo. Possiamo garantirvi che un meeting con queste creature, a soli 50 all’ora, è un appuntamento pericoloso e da evitare: si fiondano a bordo penetrando dal parabrezza e senza fare molti complimenti. I maschi raggiungono i 600 kg e hanno le corna, le femmine ne sono prive e pesano circa 400 kg: le due sagome sono quindi differenti, ma il computer deve memorizzare tutte le possibili combinazioni, riconoscerle con certezza (come fa il cervello umano) e poi impartire agli attuatori elettrici l’ordine di inchiodare i freni, se il guidatore non interviene prima. Cosa assai improbabile perché il CPU, alias il microprocessore, impiega non più di 4 centesimi di secondo per sparare sui dischi freno. Nel bunker atomico Con la stessa tecnica di riconoscimento delle sagome, i tecnici svedesi stanno insegnando a riconoscere un “pedone”, cioè un essere a due zampe, con due braccia sul tronco, bambino o adulto, che si muove camminando in un certo modo. Per capirci, un canguro cammina su due zampe ma non proprio come un uomo: quindi il CPU non lo riconoscerebbe ancora. Ma, quando le esportazioni Volvo in Australia cresceranno in modo significativo, canguri ed emù saranno sagome imparate a memoria. Per ora la telecamera individua solo il pedone, ma è in grado di farlo anche in una galleria buia come un bunker atomico, giacché utilizza un’ottica ad altissima sensibilità con un particolare sistema di esposizione alla luce bassa. Perché la Casa svedese non ha utilizzato una telecamera a infrarossi per “vedere” esseri viventi a sangue caldo? Domanda legittima, visto che Mercedes e BMW l’hanno fatto. Per molte ragioni: intanto è molto più costosa di una telecamera normale, poi non funziona con la pioggia e infine andrebbe ugualmente addestrata a riconoscere le sagome, altrimenti, al buio, potrebbe scambiare un ciclomotore (caldo) per un cane. Ma c’è un altro motivo, ancor più convincente. Per la Convenzione di Vienna la guida di un’auto in mezzo al traffico deve essere sempre gestita dall’uomo. Ciò significa che la macchina non può prendere decisioni autonome che l’uomo non prenderebbe. In altre parole, l’elettronica deve trasformare il guidatore nel più esperto, prudente e rapido dei piloti, ma non sostituirsi ad esso. Se la telecamera a infrarossi individuasse un “fantasma caldo”, invisibile al miglior occhio umano, non deve essere autorizzata a compiere manovre d’emergenza. Capire i lavori in corso Ma oltre agli animali, la telecamera “normale” della Volvo è stata addestrata a riconoscere guard-rail, new jersey, coni rifrangenti, catarifrangenti, oltre alle righe bianche o gialle della segnaletica orizzontale. Sono tutti gli oggetti che l’occhio umano vede, interpreta e utilizza come input per la traiettoria da seguire. Letti dal computer, questi segnali diventerebbero movimenti dello sterzo. Ma siccome c’è la Convenzione di Vienna, all’inizio diventano coppie applicate al volante per indurre il pilota a decidere lui di sterzare. E, se non segue il consiglio, all’ultimo momento interviene una frenata che evita lo schianto contro la barriera. Abbiamo provato questa novità – che è probabilmente la più interessante ed efficace per ridurre il numero degli incidenti – assieme a molte altre, sulla pista di Stora Holm alle porte di Goteborg, in Svezia. E' così innaturale puntare dritti contro il new jersey che bisogna ripetere il test più volte prima di capire che ci si può fidare. Istruzioni per l’uso: marciare a 80 all’ora, mirare la barriera con un angolo di 20°, stringere forte il volante, resistere ai tentativi di correzione che lo sterzo elettrico scarica a mitraglia sui vostri polsi. E lasciar fare. Una grande inchiodata, a pochi centimetri dal botto, pone fine all’incubo. Quanto costerà e quanto dovremo attendere per star lontani dai new jersey, visto che alcuni di essi sembrano (leggi: autostrada A 16) poggiati sul burro? Non molto: le telecamere hanno ormai costi contenuti, il software – cioè il programma di interpretazione delle immagini - è la parte più delicata, e che richiede maggior sperimentazione, ma una volta acquisita può essere riprodotta a costo zero. Ovviamente occorrono vetture con servosterzo elettrico, ed è questa una delle ragioni per cui stanno scomparendo a grandi passi i servosterzo idraulici. Vienna vieta l’auto senza pilota Se oltre allo sterzo elettrico disponiamo di: trasmissione automatica, telecamera, radar anteriore e sensori laterali a ultrasuoni, saremo in grado di far compiere alla vettura nuovi compiti. Alcuni solo sorvegliati dal pilota (senza che egli intervenga su acceleratore, sterzo e freni), come marciare per file parallele o seguire a distanza di sicurezza un’altra vettura. Altri, senza il pilota a bordo, come parcheggiare in un silo pubblico o entrate in uno stretto box privato, tanto stretto da non poter aprire le portiere. Ma per queste manovre c’è sempre lo scoglio di Vienna a vietarlo. Per il momento. A meno di usare questi dispositivi in aree private. Come ci hanno mostrato gli ingegneri della Volvo a Goteborg. Se poi aggiungiamo una centralina Wi-Fi (simile a quelle che abbiamo in casa per diffondere il segnale Adsl, ma molto più costosa perché deve raggiungere distanze di 4-500 metri e impiegare un protocollo specifico), allora entriamo in contatto col mondo esterno. La vettura sarà in grado di leggere i tempi dei semafori in avvicinamento e scegliere automaticamente la velocità ottimale per transitare col verde. Ma se il pilota tiene il piede giù, scatteranno i freni. Oppure sarà possibile entrare in un parcheggio pubblico e ricevere all’ingresso – via Wi-Fi - la mappa con la localizzazione dei posti liberi. Poi un semplice click ordina alla vettura: Vai avanti tu perché sai dove andare. Car-to-car communication Appena installata a bordo la centralina Wi- Fi potrà iniziare uno dei processi più sconvolgenti del traffico motorizzato, quello per il quale numerosi governi hanno investito milioni per la ricerca: è il car2car system, vale a dire la comunicazione fra due vetture, per scambiarsi dati esterni (“qui piove”), dati interni (“sono fermo dietro una curva perché sono andato a sbattere”), o semplicemente per indicare velocità e direzione (eventualmente di collisione). Il raggio di azione di tali segnali non deve superare il mezzo km per non diventare troppo affollato, ma in caso di pericolo il messaggio potrà essere fatto rimbalzare di auto in auto fino a creare una catena virtuosa. Ma nelle città la saturazione dei segnali è dietro l’angolo, pertanto il sistema deve essere in grado di catalogare i messaggi e lasciar giungere al pilota solo quelli importanti. Il linguaggio col quale le auto di domani si parleranno deve essere comune a tutte le marche. Per questo da tempo operano commissioni di esperti dei vari continenti per fissare il protocollo, cioè il linguaggio comune. Volvo vanta numerose paternità nel campo della sicurezza, a partire dalla cintura di sicurezza a tre punti. Ora vuole raggiungere un traguardo che ha del temerario: costruire vetture in modo che dal 2020 nessuno dovrà perdere la vita o rimanere ferito seriamente in un nuovo modello Volvo. L’ACC (il dispositivo che mantiene la distanza di sicurezza) con assistenza allo sterzo verrà introdotto su tutte le XC90 a partire dal 2014, assieme al barrier detection, alla guida autonoma in colonna e al pedestrian detection. Si conta che sulle strade svedesi tali dispositivi siano capaci di ridurre il numero delle collisioni del 39%, e quello delle vittime del 42%. Forse in Italia dovremo accontentarci di percentuali inferiori, almeno finché non miglioreremo guardrail, strisce bianche e segnaletica. Enrico De Vita

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