Audi R8 V10 5.2: il toro con gli anelli

Audi R8 V10 5.2: il toro con gli anelli

di Redazione

29.03.2010 ( Aggiornata il 29.03.2010 15:37 )

Presentazione

Notte fonda. Nel buio si staglia la sagoma di una supersportiva parcheggiata sotto la luce fioca di un lampione. Il dito preme il tasto d’apertura sulla chiave e i riflettori s’accendono: due potenti luci a Led incastonate nella fibra di carbonio illuminano a giorno l’intero vano motore. E attraverso il pannello di cristallo, come fosse uno schermo ad alta definizione, leggi a chiare lettere una sigla: V10 FSI. Il motore giusto al posto giusto. Quel dieci cilindri che finalmente rende piena giustizia alle qualità tecniche e dinamiche dell’Audi R8.
E che stringe ancor più quel legame di sangue che c’è fra la sportiva di Ingolstadt e la cugina di Sant’Agata Bolognese. Va infatti ricordato che la R8, con la Lamborghini Gallardo, condivide un sacco di argomenti: lo schema delle sospensioni, l’impianto frenante, la trazione integrale con giunto viscoso e il cambio robotizzato, che qui si chiama R tronic e a Bologna egear. E adesso anche il propulsore, il dieci cilindri a V di 90° a iniezione diretta che in questo caso, per ovvie questioni politiche, non può permettersi di erogare 560 cv ma si limita a 525. Una manciata di cavalli in meno, tanto per ribadire le gerarchie all’interno del Gruppo tedesco, che però ammontano esattamente a quel centinaio di cv in più che i più esigenti avrebbero desiderato dall’unica R8 finora in gamma, quella con il V8 4.2 da 420 cavalli. Un eccellente propulsore, non c’è che dire, ma col problema di dover spingere un telaio d’eccellenza capace di sopportare ben di più.
L’arrivo di due pistoni, centocinque cavalli e un litro in più di cilindrata sono quindi quel che ci vuole per accontentare gli incontentabili. Che potranno godere di quella pastosità in basso necessaria per volare anche quando vuoi andar piano e di quegli allunghi (8700 giri) e quella cattiveria in zona rossa che soltanto un motore pensato per una Lamborghini può offrire. Per non parlare poi del sound, sempre possente e lacerante sebbene un po’ più incapsulato rispetto a quello della LP560-4; un giro di volume appena più basso per sposarsi con una concezione di vettura sportiva meno estrema rispetto alla cugina italiana.

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