Aston Martin V8 Vantage SP10, dal Ring con classe, prova su strada

Aston Martin V8 Vantage SP10, dal Ring con classe, prova su strada
Questa versione speciale si chiama SP10, come la classe che l’Aston ha vinto più volte alla 24 Ore del Nürburgring. Ecco come va

di Lorenzo Facchinetti

04.12.2013 ( Aggiornata il 04.12.2013 08:27 )

Prestazioni

Aston Martin V8 Vantage SP10

La vantage più potente ed esclusiva della gamma è la V12 6.0, quella che sotto il cofano anteriore ha il più grosso propulsore della Casa di Gaydon solitamente riservato alle DB9, Rapide e compagnia.

Ha quasi cento cavalli in più (517 contro i 436 della SP10), coppia da vendere e prestazioni rettilinee giocoforza superiori. Ma ha un problemino: se circoscriviamo il discorso alla pura maneggevolezza di guida, quei 4 cilindri in più che “sporgono” in avanti rispetto al V8 rovinano un po’ lo straordinario equilibrio delle masse della Vantage, che nasce appunto con l’otto cilindri ed è dunque pensata per accogliere al meglio questo più compatto propulsore.

Cioé installato anteriormente, ma nella posizione più arretrata possibile: è dietro l’asse anteriore, penetra quasi in abitacolo, dunque la ripartizione dei pesi vede segnare un invidiabile 49,1/50,9 per cento sui due assi misurati sulla nostra bilancia (per una massa complessiva di 16 quintali), che per una vettura a motore anteriore è un traguardo eccezionale.

Questo layout tecnico, su strada si traduce in un bilanciamento pressoché perfetto che rende la Vantage efficace, piacevole ed estremamente intuitiva. Il fatto di avere il giusto peso davanti, e nella fattispecie della SP10 anche uno sterzo più diretto, fa sì che il sottosterzo sia limitato davvero al minimo sindacale. E che il guidatore possa dunque disegnare linee col compasso senza alcuna sbavatura, con inserimenti in curva millimetrici e una fedeltà di mantenimento della traiettoria davvero notevole.

Il retrotreno segue poi l’avantreno con un affiatamento superbo, sfoderando appoggi in curva molto solidi anche nei tratti più veloci e impegnativi. E nel misto ci si possono gustare, volendo, dei sovrasterzi intuitivi da gestire grazie a un differenziale autobloccante molto ben tarato che rende il lavoro di controllo più semplice. Se tiriamo le somme, metà del piacere di guida che offre questa Aston arriva dunque dalla sua genuinità di progetto, che è la più classica delle impostazioni tecniche: motore davanti più arretrato possibile, trasmissione transaxle posizionata al retrotreno e trazione posteriore.

L’altra metà arriva invece dall’accoppiata motore e cambio e dalla semplicità globale della vettura stessa. Il fatto di non avere troppi parametri da gestire, come ad esempio le tanto in voga regolazioni d’assetto, cambio, sterzo, soglia d’intervento dei controlli e addirittura sound del motore variabile artificialmente tutte combinabili assieme, crea in un certo senso meno preoccupazioni e ci si può concentrare maggiormente sulla guida.

Anche il fatto che in abitacolo non ci siano impianti multimediali con interfacce troppo complesse rende, da un lato, le cose più semplici. Con la Vantage s’ingrana la prima e si parte, godendosi soltanto la meccanica pura. Il V8 4.7 ha un suono sommesso e una grande fluidità, finché si viaggia tranquilli. Ma ci vuole un attimo per dare un senso diverso alla propria giornata: attorno ai tremila giri si aprono le valvole by-pass allo scarico e il suono del V8 cambia drasticamente tonalità, diventando più intenso, pieno e avvolgente.

Essendoci poi il cambio manuale, chi guida ha il pieno controllo della colonna sonora, decidendo magari di prolungare l’ascesa del contagiri con un filo di gas senza paura che il cambio automatico di turno passi alla marcia superiore; oppure, esibirsi in un punta-tacco in scalata che anche se non viene a regola d’arte dà più soddisfazione di quello, perfetto ma sempre uguale e artificiale, di una centralina che lo fa al posto tuo. Poi d’accordo, il cambio meccanico della Vantage non è perfetto, perché un po’ rumoroso e se usato molto rapidamente potrebbe presentare qualche impuntamento. Ma se si è scelto questo tipo di trasmissione anziché l’automatico Sportshift II proprio per godersi maggiormente la guida, allora ci si può anche sorvolare.

Come si potrebbe anche sorvolare sul fatto che non siamo riusciti a ripetere i 4,5 secondi dichiarati per lo 0-100 — 4”97 il nostro dato, ma con buoni 300 all’ora di punta massima — mentre è difficile sorvolare sui consumi, che considerato come ci stanno abituando bene i motori moderni con turbo, iniezione diretta, start/stop e altro ancora sulla SP10 non sono certo lo stato dell’arte: poco più di 7 km litro in città e 8,4 in autostrada, con medie globali che difficilmente superano i 9 km con un litro. Ci si può consolare, in parte, con il confort.

Perché sebbene la Vantage S SP10 sia una variante sportiva e dunque pensata soprattutto in chiave agilità, il carattere è comunque da gran turismo, con sospensioni che digeriscono bene e una silenziosità di marcia più che dignitosa.

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