Kia Soul 1.6 CRDI, prova su strada

Kia Soul 1.6 CRDI, prova su strada
Bella con l'anima: originale, modaiola e concreta con tanto spazio, una guida di sostanza, ma non consuma poco

di Marco Visani

02.09.2014 ( Aggiornata il 02.09.2014 15:11 )

Presentazione

Che il naming, insomma, il battesimo di un’automobile, sia una scienza più complicata di quanto possa sulle prime apparire, lo sapevamo. Nel caso della Soul, anima in inglese, la scelta è stata particolarmente facile. E felice. E non per le suggestioni musicali che comunque suggerisce ma perché, in un’epoca di modelli spesso ripetitivi, questa macchina un’anima ce l’ha per davvero.

Anzi, ne ha più di una, anche se è difficile elencarle poiché qua dentro c’è un po’ di tutto: un mesh up di generi che la rendono furbescamente inclassificabile: non è una monovolume, non è una monospazio, non è un Suv. Volendo la si potrebbe infilare tra i crossover, ma qui c’è una ricerca estetica che di solito in quel genere di esecuzioni proprio non si riscontra. Anche la prima Soul, vissuta in sordina tra il 2009 e il 2013, era del tutto simile. Però non aveva interpretato altrettanto efficacemente l’idea estetica di base.

D’altronde il tema dell’auto a cubo solletica a intemittenza la fantasia dei designer però poi, all’atto pratico, si rivela difficile da eseguire e ancora più complesso da capire, da parte del pubblico. Controprova: quante Daihatsu Materia o Nissan Cube ricordate di avere incrociato per le strade della vostra città? Con un carattere tanto determinato, la Soul 2 è una di quelle macchine che o piacciono incondizionatamente o si rifiutano totalmente. Anche se, a giudicare dai commenti che abbiamo raccolto, la prima situazione ricorre molto più della seconda. Proporzioni nette, linee decise, un forte gusto per gli elementi decorativi fin quasi a rasentare, in alcuni dettagli, il barocco, fanno di questa seconda generazione una delle coreane più convincenti dell’ultimo corso.

Stile a parte, che resterà sempre (almeno nella patria dell’eleganza) l’elemento determinante nella scelta di un’automobile, la Soul mette sul piatto l’abituale concretezza coreana. Che è fatta, ad esempio, della ben conosciuta supergaranzia di sette anni e di una qualità costruttiva in netta progressione, con una selezione di materiali corretta per la categoria e di un’esecuzione accurata, che cade (con qualche economia di troppo) solo in quelle zone nelle quali viceversa l’occhio di solito non cade. E poi, in considerazione che tra i due paraurti ci sono appena 4 metri e 14, poco più dell’ingombro di una Punto, lo spazio a bordo è decisamente abbondante, compreso dietro. Certo, qualche cosa sul piatto bisogna pure lasciargliela: il baule non è capacissimo ma soprattutto, in mancanza di una parzializzazione del fondo, è disagevole la movimentazione dei colli.

Solida e reattiva alla prova della strada, la Soul attinge tecnicamente a piene mani dalla banca organi del Gruppo Hyundai/Kia, con una gamma semplice semplice: un turbodiesel e un benzina aspirato, entrambi millesei, con potenze quasi uguali (128/132 cv), e una tariffa ben più elevata per la versione a gasolio (2.500 euro in più).

Per la nostra prova abbiamo scelto il diesel abbinato all’automatico, un duo efficace più al trotto che al galoppo, capace di una resa chilometrica non eccezionale, con 14,7 km/ litro di media che paga la massa elevata e la scarsa aerodinamica. Sul piano economico la Soul (unico allestimento) si rivela un buon compromesso tra costi e contenuti, perché a fronte di una richiesta comunque competitiva offre di serie contenuti importanti: Bluetooth, cerchi da 18, servosterzo con doppia taratura, retrocamera, vetri scuri. Le personalizzazioni sono poche, integrate in pacchetti e centrate sulla tecnologia piuttosto che sulle personalizzazioni, qui giocate sui temi cromatici, con cinque tettucci decorati ad hoc: quelle cose cui ormai più nessun costruttore rinuncia, ma che invece il pubblico (a parte quello della Mini) snobba che è una bellezza

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Design
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