BMW M2, nuova, nera e cattiva: la prova

BMW M2, nuova, nera e cattiva: la prova

Abbiamo provato l’inedita versione M della Serie 2 Coupé: altro che baby, è una bomba pronta a far concorrenza alla sorella M4

di Saverio Villa

03.08.2016 10:21

Prestazioni

E' ufficiale: la Bmw “M Division” è tornata nella sua forma più sfolgorante.

E su quale debba essere la sua forma più giusta era anche sorto qualche dubbio, specialmente dopo l’apparizione di modelli come le X5M e X6M e, se vogliamo, anche l’ultima M5: tutte immensamente veloci ma non propriamente agili, né comunicative. LA M2, invece, mette insieme queste caratteristiche anche meglio di quanto non riseca a fare la M4. E qui torniamo al confronto tra le due, che sarà anche urticante per Monaco, ma è sempre meno evitabile. La differenza di potenza tra M2 ed M4 sembra sostanziale (370 cv contro 431), però cambia anche il peso che, nei nostri rilevamenti, è risultato di 1569 kg per la prima e di 1611 kg per la seconda (provata su Auto di settembre 2014). Facendo due conti, quindi, il rapporto tra peso e potenza è rispettivamente di 4,2 e 3,73 kg/cv, niente di abissale quindi. E infatti la differenza di 2 decimi di secondo sullo 0-100 e di 3 decimi di secondo nella ripresa da 80 a 120 km/h a favore della “4” confermano che non stiamo parlando di due pianeti diversi.

Aggiungeteci  pure che il biturbo della M4 ha un’erogazione più violenta e spostata verso l’alto rispetto al monoturbo della M2, che invece è più dosabile e quindi comporta un certo vantaggio quando l’erogazione va gestita per incidere sull’assetto della vettura o, nella situazione opposta, per non modificarlo inavvertitamente quando ci si ritrova nel bel mezzo di un curvone con l’auto in appoggio. Questa caratteristica neutralizza anche quel nervosismo che potrebbe derivare dai 12 cm in meno di passo della M2, contraddistinta da una compostezza paragonabile a quella della sorella maggiore, con la quale, peraltro, condivide parecchi elementi fondamentali delle sospensioni. La M4 ha il vantaggio di offrire, seppure solo a richiesta, l’assetto a controllo elettronico, che assicura l’adattabilità agli umori e alle vertebre di chi guida.

La M2, invece, pur mettendo a disposizione una buona varietà di combinazioni tra taratura di motore, sterzo e cambio, ha un telaio immutabile e rigido, che trasferisce poco carico tra una curva e l’altra ma è fatto per schiene solide. Anche la struttura della M2 sembrerebbe funzionale anche a un uso disimpegnato, ma così non è. Non solo per la rigidità delle sospensioni, ma anche per il funzionamento del cambio M DKG a doppia frizione, presente sull’esemplare della prova e, presumibilmente, su una percentuale molto consistente delle M2 che non finiranno in mani inglesi. Anche nella modalità Comfort, la trasmissione è sempre piuttosto tesa ed energica, sia in marcia che nella partenza da fermo e questo impedisce di fatto di adottare un atteggiamento rilassato quando le circostanze lo permetterebbero.

E al coro di «chissenefrega» che probabilmente verrà innescato da questa considerazione, passiamo all’altra faccia del DKG, che nelle modalità Sport e Sport+ ha la velocità e la spietatezza di una mitraglietta Uzi, in salita, come in scalata, e mantiene quel tanto di protezione elettronica necessaria per neutralizzare comportamenti omicidi (per gli ingranaggi), ma per il resto accetta stoicamente anche maltrattamenti da pista. L’alternativa manuale, con sei marce anziché sette, ha il vantaggio di far risparmiare 4 mila euro e di alzare di una tacca il livello di intimità tra la M2 e chi la guida. È oggettivamente una trasmissione molto ben realizzata, ma non ha la versatilità né la costanza di rendimento del doppia frizione. Tra l’altro offre pure la squisitezza della doppietta automatica in scalata, che ha sicuramente una valenza tecnologica ma anche un’utilità relativa: chi è incline al modernismo non se ne farà sedurre al punto da rinunciare al DKG, mentre gli albionici di cui sopra, che vengono iniziati alle gioie del “puntatacco” fin dalla scuola materna, la considereranno intrusiva e probabilmente fastidiosa.

Il differenziale autobloccante a gestione elettronica lavora egregiamente e permette di uscire sparati dalle curve con una bella sensazione “meccanica” di motricità. Premendo brevemente il tasto del controllo di stabilità, o selezionando il programma Sport+, si attiva la funzione M Dynamic Mode, che permette uno slittamento moderato delle ruote posteriori sufficiente per togliersi la soddisfazione di un sovrasterzo di potenza, ma sempre con la rete di sicurezza elettronica che interviene un istante prima dell’irreparabile. In pista, se si è alla ricerca del tempo, l’MDM rimane comunque un po’ limitativo per chi ha il polso per sfruttare il potenziale della M2, ma per quelli che sono un gradino sotto questo livello è una polizza di assicurazione impagabile. Dopotutto, per quanto il sei cilindri eroghi la sua spinta con linearità, nel momento in cui arriva alle ruote posteriori la bordata dei 465 Nm, che salgono a 500 quando interviene l’overboost, occorre un bel po’ di perizia per tenere a bada la coda della M2 e tutto il resto. Lo sterzo pronto e diretto aiuta parecchio in questi momenti. Per la verità potrebbe essere più trasparente nel segnalare quello che sta succedendo, però le indicazioni necessarie arrivano lo stesso dalle sospensioni, che trasmettono tutto nel dettaglio.

Il comando del freno non ha quella progressività che fa comodo in pista, specialmente nella seconda parte della corsa, però è decisamente potente e non fa rimpiangere un impianto con dischi carboceramici. Del resto, anche se non fosse così, mancherebbero le alternative, perché l’opzione M Carbon Ceramic è riservata alla M4 e questa è un’altra delle (poche) ragioni inoppugnabili che possono spingere a cercare qualcos’altro al di sopra della M2.

  • Link copiato

BMW M2, nuova, nera e cattiva: la prova

Torna su

Commenti

Leggi auto.it su tutti i tuoi dispositivi

Auto, copertina del meseAuto, copertina del meseAuto, copertina del mese