La memoria delle emozioni: il V12 Lamborghini tra Miura e Aventador

I nomi della passione V12, 60 anni dopo

Ma da queste parti, non sono abituati a perdere tempo, non si poteva aspettare: un tetto dove lavorare c’era e il momento era arrivato. Giuliano Pizzi ed Emilio Schiavina, oggi simpaticissimi ultraottantenni, ieri meccanici assunti da pochi mesi da Ferruccio, avevano fretta di dimostrare che il V12 progettato dall’ingegner Giotto Bizzarrini (artefice della Ferrari 250 GTO, presentata giusto l’anno precedente) si accendeva, eccome se si accendeva, facendo ascoltare a tutto il circondario la voce roca da cantante rock della 350 GT.

I primi vagiti arrivarono intorno alle 17:30 del 12 maggio e fu subito amore. Tre anni dopo, la stessa coppia di giovani ragazzi tenne a battesimo - era il 28 aprile del 1966 - il 12 cilindri reso più gestibile da due altrettanto giovani ingegneri Giampaolo Dallara e Paolo Stanzani responsabili dello sviluppo e della produzione di un altro progetto, di cui affidarono il design alla carrozzeria torinese di Nuccio Bertone, a sua volta pronto a girare l’incombenza al 27enne Marcello Gandini, divenuto poi uno dei padri del design automobilistico italiano. Non lo sapeva ancora nessuno, ma stava nascendo la Miura, nome ripreso da una poderosa razza di tori allevati nella zona di Siviglia da Don Edoardo Miura. Più una vettura di culto che un’automobile con quei suoi fari arricchiti da fascinose “ciglia”.

Ma la chiave resta il cuore, quel V12 che alla ne il genio degli uomini Lamborghini riuscì a sistemare in senso trasversale montandolo nella parte posteriore centrale della vettura, la prima supercar riconosciuta. Un 4 litri capace di arrivare a 385 cv. L’elisir che allungo? la vita della Miura: dai 50 esemplari previsti in tre anni ne furono prodotti 763 in 7 anni per finire nelle mani di personaggi famosi come Rod Stewart, Elton John, Little Tony, Miles Davis, Johnny Halliday, Peter Sellers, Ed Van Halen e Jay Kay dei Jamiroquai, per non parlare dello Scià di Persia.

A bordo della leggenda

Abbiamo avuto il privilegio di salire a bordo dell’esemplare di Miura del servizio ed è stato come entrare nella macchina del tempo, sì proprio quella. Con il suo fantastico e non esattamente morbido cambio, la sua plancia rigorosamente analogica e quel sound unico. Poi basta sfiorare la vernice color verde acido, mentre l’orologio riporta la lancetta ai giorni nostri e si trasforma nella sua erede. La Lamborghini Aventador Ultimae con le sue forme da navicella spaziale, la sua modernita? esasperata come le prestazioni del V12, portato addirittura a 780 cv (con lo zerocentro raggiungibile in 2”8). Un salto temporale quantico con un comune denominatore solido e acustico: il canto nostalgico del V12 pronto ad andare in pensione, vittima della... rottamazione tecnologica incipiente. Un’eredità che si tramanderà nei secoli, a prescindere dal progresso.

Perché come dice sempre il guru della pallavolo, il tecnico argentino Julio Velasco: “nessuno ci toglierà i balli che abbiamo ballato”. E nemmeno i motori che hanno rombato.

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