Audi, 30 anni di Quattro

Audi, 30 anni di Quattro

di Redazione

23.03.2010 ( Aggiornata il 23.03.2010 09:29 )

Nessuno immaginava che in quella relazione era tracciato il futuro dell’Audi. Il resoconto era stato compilato dall’ingegnere Jörg Bensinger, che in una decina di cartelle dattiloscritte aveva riportato dati e impressioni sulla spedizione al Circolo Polare Artico. Più somigliante a un musicista che a un disincantato tecnico, Bensinger aveva trascorso l’inverno 1976- 77 tra le nevi e i ghiacci di Rovaniemi, la capitale della Lapponia finlandese progettata dall’architetto Alvar Aalto a forma di corna ramificate di renna. L’ingegnere, che era uno specialista nello sviluppo dell’autotelaio, aveva effettuato centinaia di test in condizioni estreme con vetture sperimentali e prototipi, tra cui il fuoristrada Volkswagen Iltis 4x4 destinato a un impiego militare. Bensinger era rimasto letteralmente rapito dalle prestazioni della trazione integrale.
La relazione nella quale suggeriva di trasferire quella soluzione tecnica a un modello di classe media, era adesso sulla scrivania del dirigente che, come nessun altro, aveva già in mente come sfruttare le considerazioni contenute nel dossier. Laureato in ingegneria al Politecnico di Zurigo, Ferdinand Piëch aveva quaranta anni, e una discendenza importante. Sua madre, Louise, era la figlia del professor Ferdinand Porsche. Da un paio d’anni aveva assunto la direzione sviluppo tecnico Audi. Piëch stava pensando a qualcosa di davvero innovativo che potesse diventare il marchio di fabbrica. Letta la relazione, l’ingegnere nipote del progettista delle leggendarie Auto Union da Grand Prix degli Anni Trenta – di cui l’Audi rappresentava in un certo senso la continuità – aveva tutto perfettamente chiaro. Aveva intravisto il futuro.
Da lì al marzo 1980, l’intuizione di Bensinger e la determinazione di Piëch si concretizzeranno in un modello rivoluzionario: al Salone di Ginevra l’Audi esibiva la Quattro, appunto a quattro ruote motrici. Ma c’era dell’altro. Anche la scelta della motorizzazione distingueva quel modello sportivo dalla spigolosa carrozzeria coupé: un 5 cilindri in linea di 2.1 litri sovralimentato mediante turbocompressore con intercooler, potenza 200 cavalli. Tre anni, dunque, per progettare, sviluppare e industrializzare una vettura che diventerà una pietra miliare della creatività tecnica del costruttore di Ingolstadt.
Quella intrapresa nel 1977 dallo staff di Piëch fu un’impresa in bilico tra l’avventura e la sfida. Con parecchie incognite. Fu organizzato un reparto segreto i cui componenti – selezionati tra i migliori tecnici del gruppo di Bensinger – erano tenuti, per dirla in gergo militare, al silenzio. Il progetto non aveva ufficialmente ancora un nome. Cosicché fu fatto credere che quel gruppo si stava occupando di generiche sperimentazioni. Nell’operazione fu coinvolto un terzo uomo, l’ingegnere Walter Treser, direttore dello sviluppo preliminare, quello che cioè si occupa della fase precedente la realizzazione vera e propria.
Il primo passo fu trasferire il sistema 4x4 della VW Iltis su una scocca modificata di una Audi 80, che fu denominata A1; la monolettera indicava “ allradantrieb”, trazione integrale. Soltanto a settembre dello stesso anno – dopo gli incoraggianti test del prototipo a quattro ruote motrici, che aveva confermato i vantaggi di quella soluzione tecnica – il consiglio direttivo fu messo al corrente del progetto. Che ricevette un codice: EA 262, dove la cifra indicava l’ordine di sviluppo. Di produzione in serie, tuttavia, ancora non si parlava. L’Audi era un’azienda Volkswagen e non aveva
perciò autonomia nelle scelte industriali. perciò autonomia nelle scelte industriali. Le decisioni, dunque, erano prese a Wolfsburg, a cinquecento km da Ingolstadt. Per convincere la Casa- madre a considerare la produzione in serie di una vettura a trazione integrale, senza dare l’impressione di scavalcare i capi VW, Piëch escogitò uno stratagemma “ diplomatico”.
Nel gennaio 1978 invitò il capo marketing von Schenk e il direttore delle vendite Schmidt a una sessione di prove di pneumatici invernali sulle strade di montagna della regione austriaca della Stiria, e fece portare anche il prototipo A1. I due dirigenti rimasero entusiasti delle prestazioni della trazione integrale rispetto ai modelli a due ruote motrici sui percorsi innevati. Il loro scetticismo riguardava semmai l’aspetto commerciale, ritenendo che per una vettura di quel genere non ci fosse mercato.

L’ingegnere Bensinger era però talmente certo del successo del progetto che riuscì a convincere il direttore sviluppo del gruppo VW, Ernst Fiala, a considerare il passaggio alla fase esecutiva. Accadde che un fine settimana il professor Fiala – l’uomo che aveva mandato in pensione il Maggiolino – si recò alla sua casa di Vienna con la A1, e che sua moglie volle provarla. La signora la definì abbastanza nervosa. L’uomo cui spettava la decisione finale sulla industrializzazione del progetto Quattro – il nome sarà poi preferito a Quadro e a Carat – suggerì a Bensinger di utilizzare un differenziale centrale. Ma diede luce verde all’operazione. L
’installazione di quel dispositivo si rivelò, tuttavia, un’impresa affatto facile. Il problema fu risolto da due esperti di trasmissioni, Nedvidek e Tengler, che fissarono il differenziale di una Audi 80 dietro il cambio e lo collegarono, mediante un albero cavo, al differenziale delle ruote anteriori; quindi inserirono una flangia all’estremità del differenziale posteriore in modo da congiungerlo col centrale. La soluzione consentiva margini di miglioramento e poteva essere prodotta in serie. Piëch e Bensinger avevano vinto la loro sfida. I collaudi di quella che ormai era la prefigurazione della Quattro impegnarono i tester per tutto il 1978 e parte seguente. Prove comparative effettuate sulla pista di Hockenheim tra la EA 262 e una Porsche 928 promossero la Audi a quattro ruote motrici. A quell’epoca non era ancora stato fissato il quantitativo di produzione: si diceva 1500, 3500 e addirittura 5000 pezzi. Della rivoluzionaria vettura esisteva tuttavia il progetto da corsa. Nella primavera del 1979, quando a Ingolstadt tutto era pronto per l’industrializzazione della Quattro, fu parallelamente avviata l’operazione rally.
La scelta cadde perciò su 400 esemplari, quelli cioè richiesti per l’omologazione in Gruppo 4. Nei suoi anni trascorsi alla Porsche, Ferdinand Piëch si era occupato con successo della progettazione di vetture da competizione. Nel 1968 gli era stato affidato dell’anno l’ufficio tecnico e sotto la sua direzione furono realizzate biposto Sport, quale la indimenticabile 917. La sfida sportiva, intesa prima di tutto come sfida tecnica, Piëch la aveva dunque nel sangue. E la Quattro era fatta apposta per le corse su strade sterrate o innevate: cioè i rally. Fu dunque rapidamente allestito un prototipo, siglato A2. Equipaggiata con un motore sovralimentato mediante turbocompressore, la Quattro compì centinaia di test, in nord Africa, e in Germania, in un campo militare nei pressi di Norimberga, col rallista tedesco Demuth. La Quattro- laboratorio fu infine sottoposta all’esame del fuoriclasse finlandese Hannu Mikkola. Era il dicembre 1979.



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