Il figlio Piero. "Per mio padre la Ferrari più bella era sempre l’ultima nata. Per me invece fu la 275 GTB"

Le Ferrari più belle di Ferrari

Testarossa o GTO? Daytona o California? GTC o GTB? Quale delle tante Ferrari costruite in 70 anni di storia è la più bella?

La domanda è banale, la risposta tutt’altro che scontata perché quando si parla delle auto del Cavallino ognuno ha i propri gusti e le personali preferenze.

Se si guarda alla purezza delle linee, bisognerebbe probabilmente puntare sulle affascinanti e sinuose Ferrari degli anni Sessanta; se si valuta per prima cosa la meccanica, allora la preferenza dovrebbe cadere su qualcuno dei modelli con il leggendario motore V12, vero segno distintivo della tecnologia di Maranello.

Se si pensa invece a una Ferrari simbolica, bisognerebbe scegliere la “barchetta” 125 S, la prima auto con cui nel lontano 1947 iniziò la leggenda del Cavallino. Oppure l’esclusiva F40 del 1987, l’ultima nata sotto il grande Drake.

Ma per avere una risposta definitiva ed assoluta a una domanda così irriverente ci siamo voluti rivolgere all’interlocutore più autorevole che ci possa essere sull’argomento: Piero Ferrari in persona. Il figlio del grande Enzo.

L’erede. Il vero “fil rouge” che unisce il presente del marchio automobilistico più famoso del mondo con il suo leggendario passato. Piero Ferrari oggi ha 71 anni, possiede il 10% dell’azienda fondata da suo padre e da un anno quotata in borsa a New York e Milano.

È il vicepresidente, non ha funzioni operative ma è il simbolo vivente del marchio più forte e conosciuto nel mondo. Nonché la memoria storica della Ferrari del passato. Quella più artigianale meno orientata al lusso e capace di imporsi nel mondo come simbolo di tecnologia e di arte automobilistica. Per oltre trent’anni Piero Ferrari è stato al fianco del padre in fabbrica, ombra silenziosa a raccogliere le confidenze più intime del grande Drake.

Ma Piero Ferrari era anche un “filtro” verso l’esterno: l’unico in grado di smorzare parzialmente la ruvidezza del genitore verso piloti e collaboratori. Cresciuto a pane, corse e motori V12, in Piero Ferrari la passione per le automobili e per le competizioni è sempre andata di pari passo con quella per la meccanica. Come il padre.

Dai primi Anni ‘60, quando appena diciottenne il Drake cominciò a portarlo con sé in fabbrica per mostrargli come funzionava l’azienda e lo mise per regalo al volante di una delle coupé del Cavallino. Piero Ferrari ha visto passare sotto i propri occhi centinaia di Ferrari da corsa e da strada.

Ma quali sono state a suo parere le più significative? Quelle che gli sono rimaste più impresse e che gli hanno fatto battere di più il cuore? Chiedere a un Ferrari di giudicare le Ferrari più belle suona un pochino provocatoria. Ma Piero è un grande appassionato di automobili e di tecnologia prima di tutto. Perciò si è prestato volentieri al gioco. Noterete nella sua storia come il filo comune delle scelte di Piero Ferrari siano giustificate soprattutto da motivazioni tecniche.

Con un solo distinguo: ha voluto parlare soltanto delle auto che ha visto, vissuto e guidato di persona, non di quelle che non ha conosciuto direttamente. Ecco perché il racconto delle Ferrari più belle di Ferrari parte dai primissimi Anni ‘60, quando l’allora diciottenne Piero entrò per la prima volta timidamente nell’azienda del padre. E il racconto inizia con l’auto che più gli è rimasta nel cuore.

La 275 del 1964 con il cuore da corsa



“Mio padre Enzo era solito dire che la Ferrari più bella è sempre l’ultima costruita. Per me invece la più bella è la 275 GTB dei primi Anni Sessanta. Forse perché fu la prima Ferrari che guidai personalmente e quindi sono legato a questa eccezionale berlinetta da un ricordo speciale. Avevo cominciato a guidare da adolescente, a 16 anni nelle strade di campagna attorno a Modena, ma non guidavo certo delle Ferrari, ci mancherebbe. Facevo pratica con l’auto di mia mamma. A 18 anni però, da poco entrato in azienda, ebbi l’occasione di guidare la 275 GTB. All’epoca non c’erano altre automobili che andavano più veloci di quella. Quando spingevi sull’acceleratore, il suo motore V12 da quasi trecento cavalli ti dava una sensazione di velocità e di spinta che nessun’altra automobile dell’epoca ti sapeva trasmettere. Era il simbolo della classica tecnologia Ferrari dell’epoca: motore anteriore V12 derivato dalle competizioni e adattato all’uso stradale, con sei bei carburatori doppio corpo. Il suo 12 a V di 3300 centimetri cubici discendeva direttamente da quelli della GTO e della 275 P da corsa. Quest’ultima fu la prima Ferrari da corsa sport a motore posteriore, una svolta tecnica importantissima per noi. La sua erede, la 330 P, a mio parere resta una delle più belle auto da corsa in assoluto mai costruite dalla Ferrari”.

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La 330 coupé e aperta del 1966



 

“Due Ferrari di grande eleganza, di metà anni Sessanta, disegnate da Pininfarina. La GTC, come dice il nome, era una coupé mentre nella seconda la lettera S indicava la versione spider con tetto in tela. Erano sorelle della 275 GTB ma con motore V12 di 4 litri, come riporta la sigla unitaria 330. Mentre la GTB era una Ferrari più sportiva per clienti dal piede pesante, la 330 GTC e la GTS erano vere granturismo per una clientela meno sportiva. Negli anni in cui furono lanciate avevo da poco compiuto i 20 anni, per cui ebbi l’opportunità di guidarle tutte”.

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Pininfarina e California spider elegantissime del 1956



“Sono le prime che ricordo: due Ferrari eleganti e molto simboliche di fine anni Cinquanta. La 250 Pininfarina era un capolavoro di eleganza e aveva telaio a passo lungo, mentre la California era una spider più sportiva realizzata dalla Carrozzeria Scaglietti sul telaio a passo corto. Entrambe montavano il classico motore anteriore 3 litri V12 da cui derivava la sigla che è diventata tradizione di tutte le Ferrari classiche e moderne: ovvero quella di riassumere nel nome la cilindrata unitaria del propulsore (3000 cc diviso 12 cilindri fa 250 cm3). Queste due spider univano la classica tecnologia Ferrari di quegli anni a un design molto elegante”.

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La Dino del 1967 che introdusse il motore posteriore



 

“La prima Dino, quella del 1967 rappresenta una pietra miliare per Ferrari. Sia per lo stile che per la tecnologia. Prima di tutto fu la prima nostra GT da strada a motore posteriore: mentre nelle corse eravamo passati al motore posteriore già nel 1962 con la 246 SP, nella produzione stradale adottavamo ancora il motore anteriore. La Dino rappresentò la svolta e decidemmo di montare il motore dietro proprio sulla scia dell’esperienza delle corse. Il motivo però fu anche un altro: nelle vetture sportive di allora si inseguiva la compattezza, mentre oggi si cerca invece il massimo spazio interno. Il motore posteriore consentiva di costruire un’auto bassa e compatta, ideale per l’uso sportivo su strada. La Dino, lunga poco più di 4 metri, con il propulsore in posizione posteriore centrale, era un capolavoro di compattezza e bilanciamento. La scelta del nome Dino fu molto discussa internamente. Si decise alla fine di chiamarla così, senza il nome Ferrari né il logo del Cavallino, per spiegare che era una Ferrari diversa. Da tanto tempo i concessionari ci chiedevano una sorta di “Ferrarina”, un’auto più piccola e più abbordabile di prezzo poiché negli anni sessanta, le Ferrari non costavano meno di 5 milioni di lire dell’epoca. Ma l’immagine Ferrari dell’epoca era legata al motore 12 cilindri. Per costruire una GT così compatta venne invece scelto un motore 6 cilindri a V, inizialmente di due litri. E siccome il progetto del motore V6 era nato dalle idee di Dino (il figlio maggiore di Enzo Ferrari morto nel 1956, ndr) per diversificare l’immagine di questa coupé fu deciso di chiamarla Dino. Negli anni successivi il motore fu portato a 2,4 litri e aumentata la potenza; raggiungemmo anche lo storico accordo di collaborazione con Fiat, così mio padre cedette loro il propulsore V6 per una Fiat sportiva in due versioni: chiusa e aperta. Le Fiat Dino Coupé e Spider. Ma per differenziarsi da noi, loro montarono il motore in posizione anteriore mentre noi continuavamo ad averlo in posizione posteriore. Lo stesso motore Dino fu anche utilizzato per una monoposto di Formula 2 che in base ai nuovi regolamenti doveva avere un motore di derivazione stradale”.

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La Testarossa del 1984, l’ultima boxer



“Nella storia Ferrari una delle auto da corsa più celebri di fine anni cinquanta fu la Testa Rossa che si chiamava così perché contraddistinta dalle testate del V12 colorate di rosso. Un’auto che ha raccolto molte vittorie, tra cui la 24 Ore di Le Mans nel 1958 e di cui sono stati costruiti pochissimi esemplari. Il nome fu ripreso nel 1984 per una berlinetta stradale che chiamammo 512 Testarossa. In questo caso la sigla contraddistingueva il motore boxer 5 litri 12 cilindri. Fu l’ultima GT stradale col motore a schema boxer e ricordo che la macchina andava davvero fortissimo. Era molto bassa ed esageratamente larga, aveva un design molto aggressivo con griglie posteriori a tutta larghezza: uno stile vistoso in linea con la moda anni Ottanta”.

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GTO, una sigla magica nata nel 1962 e tornata nel 1984



“E' una sigla a cui sono legate due Ferrari profondamente diverse: una la GTO del 1962 che era un’auto da corsa, e una la berlinetta stradale del 1984. La prima GTO ha avuto tanti anni dopo uno straordinario successo fra i collezionisti. Era l’ultima Ferrari da strada e da corsa nello stesso tempo. Però all’epoca in cui fu costruita non rappresentava qualcosa di simbolico e straordinario. Al contrario, la Testa Rossa del 1957 fu un’auto veramente eccellente, sia dal punto di vista tecnico che sportivo. Vinse molte più gare e per tre anni il titolo mondiale sport prototipi. Eppure la GTO è diventata negli anni la Ferrari di maggior valore tra i collezionisti e nelle aste: molto più della Testa Rossa. L’altra GTO è quella del 1984, una berlinetta che io reputo molto significativa dal punto di vista tecnico perché fu la prima applicazione del motore turbo su un’auto stradale. Il propulsore sovralimentato lo introducemmo in F1 nel 1981 e in poco tempo la cultura del turbo dilagò con velocità incredibile, trascinata proprio dall’immagine di tecnologia che la F1 rappresentava. Così decidemmo di costruire una berlinetta a motore sovralimentato e realizzammo un motore V8 turbo, derivato dal nostro tre litri e ridotto a 2800 centimetri cubici, che alla fine dello sviluppo erogava ben 400 cavalli. Costruire quell’auto non fu affatto un lavoro banale perché le difficoltà che l’impiego del motore turbo su strada pose furono notevoli. Ci furono difficoltà con il tempo di risposta del turbo, con l’affidabilità e il raffreddamento. Alla fine superammo i problemi grazie all’impiego dell’iniezione elettronica, una novità per le auto stradali dell’epoca, che derivava direttamente dalla tecnologia che avevamo sviluppato per la Formula Uno”.

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275 e 330 P del 1964, le sport da corsa più belle di Maranello



“Sono le due auto da corsa che reputo una pietra miliare della storia Ferrari fra le auto da competizione. Sono significative e simboliche perché si tratta delle prime vetture sport da corsa con motore V12 posteriore. Fino all’anno precedente la Ferrari aveva fatto correre nelle gare Sport la GTO che aveva ancora il motore anteriore, oppure la 246 Sp che però era motorizzata da un 6 cilindri. Poi arrivò la 250 P e subito dopo la 275: le prime Sport in cui montammo il motore 12 cilindri posteriormente. Anche in questo caso la sigla identificava la cilindrata unitaria: quindi la 275 aveva un propulsore di 3300 centimetri cubici, mentre l’anno dopo l’auto prese la sigla 330 P perché il motore fu maggiorato a 4 litri. Dal punto di vista tecnico rappresentarono un caposaldo importante, ma per bellezza e design forse ancor di più: a mio parere, la 330 P è la più bella Sport che abbiamo mai costruito. Come eleganza surclassa la P4 di qualche anno dopo”.

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La P4 che vinse in parata a Daytona nel 1967



“È stata un’automobile mitica perché ha ottenuto tanti successi nelle gare di durata e mancò soltanto la 24 Ore di Le Mans che quell’anno fu conquistata dalla Ford. Però la Ferrari P4 entrò nella leggenda per l’arrivo in parata alla 24 Ore di Daytona, proprio a casa degli americani. La P4 era l’ultima discendente del filone delle P iniziato proprio con la 330 e passato attraverso P2 e P3. Rispetto a quest’ultima, la P4 aveva un motore 4 litri più potente, da circa 450 cv. Fu guidata e portata alla vittoria da tanti piloti, ma io ricordo in particolare Jackie Stewart che non corse mai con noi in F.1 però disputò una gara sport con la P4 alla 6 ore di Brands Hatch in cui arrivò secondo. Quel piazzamento nell’unica gara in cui Stewart ha guidato una Ferrari, ci consentì di ottenere i punti mancanti per vincere il titolo mondiale Prototipi. La P4 era incredibilmente bella a dispetto delle assurde regole della federazione che fummo costretti a rispettare per omologarla come Prototipo: basti pensare che nel costruirla dovevamo tenere conto dello spazio per alloggiare due valigie (!) come voleva la normativa dell’epoca perché considerava le Sport derivazioni da auto GranTurismo. Dietro alle ruote posteriori avevamo dovuto ricavare un vano a quello scopo”.

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GTC4 e FF del 2013 le prime 4x4



“L’ultima Ferrari della mia lista è la GTC che è anche la Ferrari più recente messa in commercio. Una macchina che accomuno alla FF a 4 posti da cui deriva. È un’auto che reputo importante, anche se non di grande diffusione, perché è la prima Ferrari a quattro ruote motrici con un sistema studiato e realizzato interamente in casa nostra per portare il moto sulle ruote anteriori. È la prima Ferrari che si può usare davvero in tutte le condizioni, dall’asciutto alla neve. Il sistema la rende facile da usare anche per una clientela non esperta”.

Il figlio Piero. "Per mio padre la Ferrari più bella era sempre l’ultima nata. Per me invece fu la 275 GTB"