Stellantis, Tavares tra promesse e impegni: il segno del comando

Stellantis, Tavares tra promesse e impegni: il segno del comando

Il numero uno di Stellantis ha completato le nomine europee dividendo responsabilità tra i manager ex FCA e tenendo conto di tutti gli equilibri.  Ora però dovrà affrontare la questione degli stabilimenti in funzione del piano industriale. I segnali? Contrastanti tra dubbi e certezze

di Pasquale Di Santillo

19.04.2021 09:56

Comandare non è mai facile, comandare bene ancora meno. Comandare una realtà complessa come la nuova Stellantis, figlia dell'unione più omeno legittima di FCA e PSA, sarà un esercizio alquanto delicato per gli equilibri, non solo industriali, ma anche politici ed economici di una creatura così giovane e articolata, nelle sue due anime, per quanto solidamente radicata, ognuna nella propria realtà. Un compito che evidentemente non spaventa in alcuna maniera Carlos Tavares abituato e forse anche stimolato dalle missioni impossibili che poi sistematicamente ha trasformato in possibili. In questo senso, le prime scelte a livello di uomini, hanno fatto chiaramente intendere a quale scuola si ispira il manager portoghese sopravvissuto (e fuggito) a Carlos Ghosn e capace di riportare in attivo Opel. La scuola del "dividi et impera" di chiara ispirazione romana, ma ancora particolarmente funzionale quando si tratta di sistemare tante caselle, ognuna al loro posto.

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Infatti, se le prime nomine, quelle a livello globale, avevano fatto sospirare i nazionalisti in servizio permanente effettivo per l'oggettivo, per quanto inevitabile, spostamento dell'asse di comando sul versante francese; quelle a livello europeo sono state ancora più "democristiane", se ci passate il termine, al grido de "l'Italia agli italiani". Tralasciando il soggetto dell'ultima citazione, Tavares ha trovato l'equilibrio perfetto dando a Sante Ficili (già capo di FCA nel Vecchio Continente) la responsabilità del mercato europeo di Stellantis, a Gaetano Thorel (ex n.1 PSA Italia) quelle di Fiat e Abarth, a Mauro Roserba (il predecessore di Thorel in Italia) quella di Peugeot, mentre a Roberta Zerbi sono andate Alfa Romeo e Lancia e ad Antonella Bruno la Jeep. Riservando invece ai manager francesi le poltrone di DS, Citroën e Opel.

Ma il vero banco di prova per Tavares, sarà il piano industriale che non vedrà la luce, almeno sembra, prima di fine anno o addirittura all'inizio del 2022. E non è detto che questa struttura operativa sarà quella definitiva. Perché Tavares non è un personaggio che fa sconti. A nessuno. Ha già pianificato quattro visite in Italia, una ogni trimestre, per una verifica attenta di vendite, conti e soprattutto dell'andamento dell'altro impegno, l'autentico nodo da sciogliere. Quello cioè del taglio ai costi, uno dei pilastri del progetto Stellantis. E già qualche segnale Tavares lo ha mandato, dopo il primo giro tra gli stabilimenti italiani e americani in compagnia di John Elkann. Il problema, confermato dagli stessi sindacati italiani, non sta tanto nei salari (più bassi di quelli francesi), quanto nel costo del lavoro per unità prodotte (molto più alto). E una delle maniere per attenuarlo è proprio l'ottimizzazione dell'utilizzo dei vari stabilimenti.

Non a caso Tavares ha costituito la Stellantis Enlarged Europe, una sorta di Commissione di Vigilanza per verificare la produttività industriale nei singoli impianti, quando, ci si augura presto, il mercato ripartirà a ritmi dignitosi a fine pandemia. Allo stesso tempo, è inutile nascondersi, che le assicurazioni di Tavares ai lavoratori francesi sull'assenza di tagli e la contemporanea sottolineatura dei costi più alti di quelli italiani, qualche apprensione da questa partedelle Alpi, l'ha creata. Sempre in attesa di sciogliere il nodo sul futuro di Comau, esattamente come è stato fatto per l'altra partecipata, Faurecia. Del resto, trovare 5 miliardi da tagliare non è un'impresa facile per nessuno, esattamente come comandare.

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