L'opinione di Guido Meda: Caro Sgarbi, le tragedie aiutano la sicurezza

L'opinione di Guido Meda: Caro Sgarbi, le tragedie aiutano la sicurezza

La morte del pilota Dupasquier in Moto3 ha scatenato accuse. Ma se la velocità è un problema, buche e guardrail cosa sono?

di Guido Meda

18.06.2021 ( Aggiornata il 18.06.2021 14:57 )

Muore un pilota, in prova, in qualifica; allora, che si fa? Ci si ferma o si va avanti? Quando poco tempo fa è morto in moto il giovane svizzero Jason Dupasquier, investito dopo una caduta dai colleghi che seguivano e rimasto attaccato al respiratore per ventiquattro ore dal sabato alla domenica, si è corso. E non era nemmeno la prima volta. Anzi. Il principio è che si corre, quasi sempre, quando c'è a disposizione una manciata di ore perché i piloti smaltiscano la consapevolezza e riattivino il meccanismo della rimozione. Che è pura autodifesa.

DIVERSE POSIZIONI

Poi ci sono le proteste, certo. Le proteste di quelli, tipo Bagnaia o Petrucci, che non hanno digerito quel minuto di silenzio imposto a quindici minuti dal loro via. Emotivamente era troppo forte per alcuni di quei ragazzi, schierati lì, con la tuta addosso, quasi a sottolineare che di lì a poco potesse toccare a loro. Dunque, ci sono quelli emotivamente scossi, ma ci sono anche quelli che al ragazzo scomparso dedicano il risultato, a fine gara. Ma intanto hanno corso e magari anche bene. Tipo Quartararo, che al Mugello ha vinto e poi ha dichiarato di aver pensato a Dupasquier per ventiquattro volte passando per la curva Arrabbiata 2. Sarà vero? Non sarà vero? Spero di no per lui. Ma il fatto è che nessuno di loro, che sia pro o sia contro, ha torto. Non c'è un'unica visione, non c'è una scelta giusta, anzi, come la fai, la sbagli. Muore Dupasquier e scegli di evitare il minuto di silenzio? Ti accusano di insensibilità nei confronti di quel giovane angelo. Lo fai? Ti accusano di insensibilità nei confronti di chi corre. Quindi, meglio dare retta all'anima di chiunque le dia voce sperando che chi decide lo faccia con il massimo del proprio buonsenso. Come si è spaccato il fronte dei piloti, si è spaccato però anche quello degli ex, degli opinionisti e della gente.

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LA PENSO COME VALENTINO ROSSI

Posizioni nette, radicali, oltranziste. Ma opposte. Solo Rossi è rimasto nel mezzo dicendo: "Dopo una tragedia non ha senso correre e non ha senso non correre. Nulla può cambiare quello che è già successo. Mi sarei fermato più volentieri, ma tra una settimana siamo di nuovo in pista". Io sto lì, dove sta lui, in quel limbo, su quel confine lì in cui ammetto di non avere un'idea secca; un po' papà, un po' motociclista, un po' giornalista. Ma non conta.

LE DIMENTICANZE DI VITTORIO SGARBI

Vittorio Sgarbi invece ha tuonato contro le moto. Ci sta, è lui. Ha proposto gare limitate a 180 all'ora di velocità per tutti, come se uniformarli fosse meglio, quando è ovvio che sarebbe peggio. Ha innalzato l'immagine dell'auto rispetto alla moto, dimenticandosi delle morti in auto, ultima ma non ultima quella di Hubert a Spa nel 2019; oppure dimenticandosi del rogo di Grosjean in Bahrein nel 2020, che non è stato esattamente uno scherzo da niente. Ma dimenticandosi soprattutto che se può muoversi a bordo di una comoda berlina, con il lampeggiante sul tetto e in totale sicurezza è anche e soprattutto perché qualcuno è morto correndo, e per quel morto la sicurezza ha fatto un piccolo passo in avanti. Che è anche l'unica maniera di dare un senso alle tragedie della pista. Forse, sarebbe stato meglio ricordarsi che i cittadini italiani continuano a muoversi su strade spesso devastate, delimitate da guardrail ghigliottina e abbassare la velocità non è esattamente la soluzione.

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