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Von der Leyen salva, ma indebolita: quali rischi per il mercato dell’auto?

© Foto sito Rainews24

Il voto di sfiducia alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen è stato respinto. Ma definirlo una vittoria sarebbe una forzatura. 360 voti contrari, 175 a favore, 18 astenuti e ben 167 eurodeputati usciti dall’aula. Questo significa una sola cosa: la fiducia politica è ai minimi storici, e il mercato dell’auto rischia di trovarsi ancora una volta ostaggio dell’instabilità istituzionale e della miopia politica europea.

Una Commissione delegittimata non aiuta l’automotive

L’industria automobilistica europea, già duramente colpita da transizioni energetiche imposte senza reali piani di compensazione e da regolamenti ambientali da rivedere, non può permettersi una Commissione debole e dilaniata da scontri interni. Eppure, è esattamente lo scenario che si è delineato in queste ore a Strasburgo. Von der Leyen, formalmente ancora in sella, ha perso 41 voti rispetto al luglio 2024, segno evidente che il progetto politico del “Green Deal” è ormai in bilico.

Il Parlamento europeo si è spaccato su tutto: difesa, ambiente, rapporti con le lobby (Pfizergate) e, cosa ancora più grave, sulle strategie industriali europee. In questo contesto, il comparto auto è il bersaglio perfetto per scaricare ogni responsabilità politica. Lo abbiamo già visto: rinvii, ripensamenti, pressioni da parte degli agricoltori, e ora anche lo smantellamento nei fatti di molte parti del Green Deal.

Auto elettrica: siamo ancora in Europa?

Il passaggio all’elettrico è ormai diventato un percorso a ostacoli. Prima sostenuto con entusiasmo e incentivi, ora oggetto di revisioni, contraddizioni e tentativi di accontentare tutti senza scontentare nessuno. Ma il risultato è uno solo: le Case auto europee non sanno più dove andare, mentre quelle cinesi avanzano indisturbate.

Von der Leyen aveva promesso un’Europa leader nella mobilità sostenibile. Oggi rischia di lasciare un continente in confusione, a metà strada tra vecchio e nuovo modello industriale, senza alcuna certezza sulle regole future del gioco.

E non è un caso che proprio in questi mesi la Cina stia aumentando la sua quota di mercato, portando sul mercato europeo veicoli più economici, più tecnologici e con filiere ben più snelle e pianificate. Mentre i nostri costruttori devono combattere contro continui cambi di direzione politica e il crollo della fiducia dei consumatori.

Il Green Deal è sotto attacco

Nel tentativo di restare in sella, von der Leyen ha barattato il suo programma originario. E il Green Deal, con le sue politiche climatiche e industriali, è stato il primo sacrificato. I Socialisti europei hanno ritirato il loro sostegno alla mozione di sfiducia solo dopo aver ottenuto, a loro dire, l’inclusione del Fondo Sociale nel bilancio pluriennale. Ma la realtà è che sul clima e sull’ambiente non c’è più una vera maggioranza.

Un esempio su tutti: il Ppe si è nuovamente alleato con l’estrema destra per frenare i target ambientali, mentre i Verdi, Renew e parte della sinistra abbandonano l’Aula o si astengono. La macchina si è inceppata. E quando la macchina si ferma, l’automotive si blocca.

Il rischio? Anni di incertezza per l’industria

Il settore auto ha bisogno di certezze, visione, stabilità normativa. Ogni ritardo o modifica alle direttive UE su elettrificazione, Euro 7, biocarburanti o infrastrutture di ricarica ha ripercussioni dirette su investimenti, occupazione e competitività.

Chi oggi investe in una fabbrica per auto elettriche in Europa, sa se fra sei mesi le regole saranno le stesse? Cosa succede se il divieto ai motori termici nel 2035 viene rinviato o modificato ancora? Quale governo garantisce oggi gli incentivi alla rottamazione, se Bruxelles non detta una linea chiara e condivisa?

Il problema è politico, certo. Ma le conseguenze sono industriali e drammaticamente concrete. Si pensi a Stellantis, Renault, Volkswagen: interi piani di ristrutturazione sono appesi alle decisioni europee. Senza contare che il mercato interno è sempre più disorientato: i consumatori non comprano auto nuove perché non sanno se conviene, se avranno accesso ai centri urbani, se ci saranno incentivi domani.

Fratelli d’Italia e le ambiguità dell’ECR

Anche il gruppo dei Conservatori, in teoria promotore della mozione, si è diviso e in parte ha abbandonato l’Aula. Fratelli d’Italia, per esempio, ha dichiarato che «non era la nostra battaglia». Una posizione ambigua, che mostra come anche i partiti sovranisti, tanto aggressivi a parole contro le “politiche europeiste”, poi preferiscano lavarsi le mani nei momenti decisivi.

Nel frattempo, l’industria resta alla finestra, schiacciata tra il pressing delle lobby ambientaliste e le pressioni degli industriali, senza che nessuno, né a Bruxelles né nei singoli Paesi, abbia il coraggio di decidere.

L’automotive merita rispetto e strategia, non compromessi politici

Serve un cambio di passo. Serve che l’Europa torni a credere nel suo tessuto industriale. Che la transizione ecologica sia fatta con logica, sostenibilità reale e non ideologica, con un Green Deal riformato, non smantellato. Che si guardi all’auto non come un nemico da tassare, ma come uno degli ultimi settori in cui possiamo giocarcela davvero con le potenze mondiali.

Perché se si continua così, tra qualche anno ci troveremo con un mercato invaso da prodotti stranieri, con aziende chiuse e con una Commissione europea che ha perso per sempre la fiducia degli automobilisti, degli operai e dei cittadini.