La guida autonoma a Milano non è più un sogno futuribile: è un progetto concreto che punta a diventare realtà già nel 2026, almeno in fase sperimentale, sulla celebre filovia circolare 90-91. Un ambizioso piano promosso da Comune e Atm, con il supporto del Politecnico, Vodafone e Ibm, che prevede di iniziare con test senza passeggeri, per poi proseguire con la speranza di vedere i primi mezzi senza conducente operativi e con utenti a bordo.
La capitale economica d’Italia, ancora una volta, si propone come laboratorio d’innovazione. Ma c’è un ostacolo che rischia di far deragliare questo percorso: le regole. Norme italiane e direttive europee non sono ancora pronte per accompagnare l’arrivo della mobilità autonoma nel tessuto urbano. Ed è inaccettabile che, mentre la tecnologia avanza, la burocrazia rimanga ferma al palo.
90-91, la prima linea a guida autonoma
Il piano della giunta Sala è chiaro: entro i primi mesi del 2026 il filobus 90-91 dovrà effettuare una prima corsa sperimentale senza passeggeri, sfruttando magari la vetrina internazionale delle Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026. Questo test rappresenterebbe la prima vera applicazione urbana della guida autonoma nel trasporto pubblico italiano. Un piccolo passo per il bus, un grande passo per la mobilità del Paese.
Ma si tratta solo del primo obiettivo. Il secondo, più ambizioso, è portare passeggeri a bordo in corse autonome lungo lo stesso tragitto. Il terzo è utilizzare questi veicoli per servizi a chiamata, come i radiobus, ideali per una mobilità flessibile, capillare e accessibile anche nei quartieri meno serviti.
Il tutto però è vincolato a un “se”: se ci saranno le norme necessarie, se l’Italia e l’Unione Europea sapranno accompagnare l’innovazione con una regolamentazione agile e moderna.
Il monito dei sindaci: servono norme subito
A lanciare l’allarme sono 50 sindaci, tra cui Giuseppe Sala, firmatari di un appello chiaro: «Siamo pronti a offrire i nostri Comuni come laboratori viventi per la sperimentazione della guida autonoma». Ma da soli non possono farcela. Senza una riforma nazionale del Codice della Strada e senza una armonizzazione normativa europea, l’Italia resterà indietro rispetto a Cina e Stati Uniti, dove la guida autonoma è già una realtà consolidata in diverse città.
«Noi stiamo facendo la nostra parte – ha spiegato Arianna Censi, assessora milanese alla Mobilità – ma abbiamo bisogno di regole chiare. La tecnologia c’è, ma mancano le autorizzazioni. È frustrante sapere che avremmo potuto lanciare anche un robot per le consegne dell’ultimo miglio già un anno fa, ma siamo bloccati dalla burocrazia».
Ecco perché la questione normativa non è un dettaglio: è il vero nodo da sciogliere, e subito.
La tecnologia è già pronta
Grazie al progetto TechBus, avviato nel 2021, Milano ha iniziato a costruire un ecosistema intelligente sulla linea 90-91, dotando i mezzi e le infrastrutture stradali di sensori e software in grado di comunicare tra loro in tempo reale. Il sistema permette di raccogliere dati fondamentali per la guida assistita prima, e autonoma poi.
Secondo Amerigo Del Buono, direttore delle operazioni di Atm, «la sperimentazione in corso ci permetterà di sviluppare sistemi capaci di coadiuvare il conducente nella prima fase, per poi passare alla guida completamente autonoma». E aggiunge: «Per i veicoli più piccoli, come quelli dei servizi a chiamata, la guida autonoma è già oggi tecnicamente attuabile».
Il punto, ancora una volta, è politico e normativo. E serve un cambio di passo.
Investimenti: troppo pochi e troppo sparpagliati
C’è poi un altro grande freno: i soldi. Negli Stati Uniti e in Cina esistono decine di aziende che hanno già raccolto oltre un miliardo di euro ciascuna in finanziamenti per la guida autonoma. In Europa, invece, siamo fermi a 100 milioni di fondi pubblici, oltretutto distribuiti in micro-progetti, senza un vero piano industriale comune.
Una frammentazione che penalizza lo sviluppo tecnologico e mette a rischio la competitività europea. Come ha sottolineato Pierfrancesco Maran, eurodeputato Pd promotore del convegno «Guida autonoma: schierare l’Italia in prima fila»: «Abbiamo università di altissimo livello, capaci di arrivare fino al prototipo. Ma poi mancano le risorse per fare il salto di scala».
Serve una svolta, serve una regia centrale, serve un investimento serio su pochi progetti strategici, capaci di trainare davvero l’innovazione nel settore automotive. E non solo a parole.
Una sfida anche sociale
Non si tratta solo di trasporto urbano. La guida autonoma può avere ricadute importanti anche sul welfare: trasportare persone con disabilità o con mobilità ridotta, migliorare l’accesso ai servizi in zone periferiche, ridurre le emissioni e l’incidentalità. È una rivoluzione che tocca la vita quotidiana delle persone, non una curiosità tecnologica.
Eppure, se l’Italia non cambia marcia, il rischio è che questa rivoluzione ci passi accanto. Sarebbe un grave errore politico e industriale. Il settore dell’automotive è già in difficoltà: o si rilancia su nuove sfide, o soccombe. E la guida autonoma è la prossima grande sfida da vincere.