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Automotive sotto assedio: mercato debole, cinesi aggressivi e norme incerte

© Eyosias G (Unsplash)

Il termine “automotive” non è mai stato così cruciale per il futuro industriale dell’Italia, e tuttavia il comparto rischia grosso. Nel recente Global Automotive Outlook 2025 di AlixPartners emerge uno scenario che dovrebbe preoccupare tutti: una domanda europea stagnante (vendite in calo del 2%), una produzione locale che arretra ormai da anni, margini che crollano e una concorrenza cinese sempre più forte.

In Italia la situazione è ancora più critica: la produzione automobilistica è scesa di oltre il 50% rispetto al 2017, anno in cui il Paese superava il milione di veicoli prodotti. I volumi di vendita sono previsti in calo di circa il 3% nel 2025 rispetto al 2024.  

La sfida cinese e le regole che non rassicurano

Una delle tendenze più incisive riguarda l’avanzata delle case automobilistiche cinesi. Secondo AlixPartners:

  • Entro il 2030 la quota di mercato europea dei produttori cinesi potrebbe raddoppiare, arrivando a 13% (10% se si esclude la Russia).  
  • La produzione cinese localizzata in Europa è prevista crescere di 800.000 veicoli annui, con un impatto diretto sulla produzione dei costruttori europei, che potrebbero ridurla di 400.000 veicoli.  

Se da un lato i cinesi vincono in termini di rapidità nello sviluppo, costi contenuti e tecnologia competitiva, dall’altro in patria devono affrontare una guerra dei prezzi che spingerà al consolidamento: da oltre 130 brand locali a non più di 15-20 nei prossimi sei anni.  

Le norme europee, in particolare il Green Deal, la regolazione su emissioni e la spinta verso la neutralità tecnologica, restano fonti di grande incertezza. Il settore lamenta che le decisioni operative concrete sono poche, mentre le indicazioni generiche abbondano. Serve chiarezza normativa, incentivi certi e strutture adeguate.  

Elettrico, AI e margini sotto pressione

L’elettrificazione procede, ma non al ritmo che servirebbe. In Europa la quota di auto BEV è salita di 4 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2024, attestandosi attorno al 17%-20%. In Italia la crescita delle immatricolazioni elettriche è molto più forte (oltre il 60% su base annua per alcune rilevazioni), ma parte da basi molto basse. Il 5% circa di quota pertiene ai BEV, percentuale che resta modesta.  

I margini dei costruttori sono in caduta libera: secondo AlixPartners l’EBIT medio del settore europeo è attorno al 4,5% nel Q2 2025, contro il 7-8% di due anni prima.  L’indebitamento cresce, la sostenibilità finanziaria è sempre più fragile.  

Un altro fattore che potrebbe fare la differenza è l’intelligenza artificiale: oltre 110 use cases già identificati in ambito automotive, con applicazioni produttive e industriali in primo piano (circa il 40% dei casi), ma anche in vendite e marketing, dove AI e chatbot intelligenti potrebbero ridurre costi e migliorare le conversioni.  

Perché l’Italia non può più aspettare

L’Italia ha bisogno di una politica industriale forte e chiara per l’automotive. Le sfide sono troppe: 

  1. Supporto pubblico: incentivi adeguati per chi produce sul territorio nazionale, non per auto importate; sussidi per ricerca & sviluppo, produzione di batterie, infrastrutture di ricarica.
  2. Infrastrutture: essere indietro con le reti di ricarica, come mostrano recenti dati, frena l’adozione di BEV.  
  3. Regole comprensibili e stabili: gli standard europei devono chiarire il percorso, evitare continui cambiamenti normativi che aumentano rischi e costi.
  4. Competitività del made-in-Italy: puntare su specializzazione, qualità, componentistica, ricerca. Il rischio è che la produzione locale diventi marginale, sostituita da importazioni o da produzione straniera localizzata che non genera valore sufficiente in Italia.

Il settore automobilistico è sotto pressione come non mai: mercato debole, concorrenza cinese agguerrita, margini in calo, regole ancora poco chiare. L’elettrico è una via inevitabile, l’AI un’opportunità concreta, ma senza adeguati incentivi, infrastrutture e visione politica rischiano di restare mere speranze.

L’Italia, che una volta produceva oltre un milione di veicoli all’anno, non può accettare che la sua industria si riduca a un mero satellite. È tempo di scelte forti, trasparenti, orientate al futuro. Non solo per salvare un settore, ma per difendere l’intera economia, il lavoro, la sovranità industriale.