La mobilità autonoma non è più un esperimento di laboratorio. Waymo, società del gruppo Alphabet (Google), ha raggiunto la soglia di 300.000 corse a settimana nelle città dove opera – da San Francisco a Los Angeles, da Austin a Phoenix – e prepara lo sbarco anche a Miami e Washington. Numeri che segnano una crescita esponenziale, sostenuta da milioni di chilometri percorsi con un tasso di incidenti inferiore del 91% rispetto alle auto guidate dall’uomo.
Al centro di questo sviluppo c’è l’italiano Andrea Vaccaro, oggi responsabile del Field Safety globale di Waymo. Il suo team monitora 24 ore su 24 la flotta di veicoli senza conducente, raccogliendo dati e interfacciandosi con le autorità di regolamentazione internazionali. «Il nostro prodotto non è il veicolo, ma il guidatore autonomo: il Waymo Driver. L’intelligenza artificiale applicata al mondo fisico può cambiare le dinamiche del mondo reale», spiega Vaccaro, sottolineando il potenziale rivoluzionario di questa tecnologia.
Dietro i robotaxi c’è una struttura di sensori lidar, radar e software predittivo che analizza costantemente ciò che accade intorno al veicolo. Non si stanca, non beve, non si distrae. Guidare su strada è pericoloso, e il sistema Waymo promette di ridurre drasticamente gli errori umani, causa principale del 94% degli incidenti stradali.
Verso l’Europa: Londra sarà il primo laboratorio
Dopo gli Stati Uniti, Waymo guarda all’Europa. Il primo banco di prova sarà Londra, dove inizieranno i test pubblici tra il 2025 e il 2026. La sfida, tuttavia, non è solo tecnologica ma soprattutto normativa: le regole europee in materia di sicurezza e responsabilità sono molto più rigide rispetto a quelle americane.
Vaccaro sottolinea come l’approccio del Vecchio Continente sia «più prudente e certificato». Un modello che può garantire maggiore fiducia ai cittadini ma che, al tempo stesso, rallenta la diffusione dei servizi. Tuttavia, la presenza di un player come Waymo potrebbe accelerare la creazione di un quadro normativo comune e favorire la collaborazione tra costruttori, istituzioni e startup tecnologiche.
L’adozione dei veicoli a guida autonoma non sarà immediata, ma l’interesse è crescente: città come Parigi, Berlino e Milano stanno già sviluppando corridoi di test e infrastrutture digitali compatibili con la guida automatizzata.
Implicazioni per l’Italia e per il settore automotive
Per l’industria automobilistica europea – e italiana in particolare – la sfida della mobilità autonoma rappresenta un banco di prova decisivo. Le aziende del nostro Paese, dalle case automobilistiche ai fornitori della filiera componentistica, possono giocare un ruolo chiave nello sviluppo di tecnologie di sicurezza, sistemi radar, sensori e software predittivi.
Difendere il settore significa riconoscere che la trasformazione è già in atto e che la competenza meccanica italiana deve dialogare con il mondo digitale. In futuro, il valore non risiederà solo nella carrozzeria o nel motore, ma anche nella capacità di integrare l’intelligenza artificiale nella mobilità quotidiana.
Tre gli ambiti più promettenti:
- Sicurezza: l’auto autonoma può ridurre incidenti, errori umani e vittime della strada.
- Sostenibilità: flussi di traffico più fluidi e veicoli condivisi riducono emissioni e consumi.
- Competitività: l’Italia può attrarre investimenti e diventare hub tecnologico, se saprà creare infrastrutture digitali (5G, mappe HD, sensori urbani) adeguate.
Certo, permangono ostacoli: la fiducia del pubblico, il costo delle tecnologie, la gestione dei dati sensibili e la convivenza tra guida autonoma e umana. Ma la traiettoria è segnata: il cambiamento è già iniziato.
Un futuro guidato dall’intelligenza artificiale
«Se i nostri figli potranno muoversi in sicurezza senza rischiare sarà bellissimo. Meno tempo perso, meno traffico, più sostenibilità», conclude Vaccaro. È la visione di un futuro in cui non guidare diventa una scelta consapevole, non una limitazione.
Il messaggio è chiaro: la guida autonoma non sostituirà la passione per le auto, ma la trasformerà. Le vetture non saranno più solo oggetti da possedere, ma strumenti di mobilità intelligente e condivisa. Per i costruttori europei – e per l’Italia in particolare – l’opportunità è grande: diventare protagonisti della transizione, mantenendo l’identità e la qualità che ci contraddistinguono.