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Ferrari, come nasce un capolavoro: intervista a Flavio Manzoni

È uno di noi. Sì, Flavio Manzoni, l’artefice di tanti capolavori dell’ultimo decennio delle Ferrari da godersi in strada e in pista, è uno di noi. Ha un passato quasi da giornalista! Di più, è cresciuto lontano, eppure, dentro una redazione. E questo spiega quella sua attitudine, quella capacità a spiegare con passione e tranquillità ogni dettaglio delle sue creature, senza risparmiarsi, cercando quella curiosità, quel dettaglio che ti accenda la lampadina, ti faccia capire e riveli l’essenza di un progetto. E sapete dove e come ha iniziato il percorso che lo ha portato a diventare il reponsabile del design dei prodotti di Maranello che incantano tutto il mondo? Alla Conti Editore, Autosprint, prima, AUTO subito dopo. Ce lo confessa lui, così come fosse una cosa normale, quando lo incontriamo al recente Salone dell’Auto di Ginevra.

“Avevo 16 anni - racconta - vivevo a Nuoro, dove sono nato e cresciuto. Mio zio un giorno fece una scappata a casa e mi disse: “mettimi insieme tutti i tuoi disegni che li porto a Bologna per mostrarli a una persona che conosco”. Quella persona era Giorgio Piola, disegnatore ed esperto di Formula 1. "Il giorno dopo mi arrivò una telefonata dalla redazione di Autosprint e mi proposero di pubblicarli creando una nuova rubrica per giovani talenti. “Tre belve affascinanti”, si intitolava. Evidentemente, quei disegni erano piaciuti...”.

Già, ma quei disegni non venivano dal nulla...
“La passione me l’ha trasmessa mio padre Giacomo - un disegnatore fantastico, una mano straordinaria - insieme a quelle per l’arte, l’architettura, la pittura, il disegno industriale. Io, semplicemente lo emulavo. Una...”malattia” di famiglia, estesa anche ai miei fratelli. Disegnavo tutto, qualsiasi cosa vedessi era fonte di ispirazione e, per quanto riguarda l’au- tomobile, soprattutto le dream car dei carrozzieri: la Ferrari Modulo, la Lancia Stratos Zero, la Maserati Boomerang di Giugiaro. Non saprei spiegare il perchè di questa pulsione, ogni tanto me lo chiedo anch’io! So solo che disegnavo tanto, ritagliavo e raccoglievo album con disegni e ispirazioni. Una lampada, l’ultima calcolatrice Olivetti di quei tempi, ad esempio, potevano diventare l’oggetto dell’ispirazione stessa. A volte, la mattina appena sveglio, disegnavo ciò che avevo sognato o immaginato la notte prima. Poi, nel 1985, avevo appena iniziato la facoltà di architettura a Firenze, mi arrivò la telefonata di Mario Simoni. Me la ricordo come fosse oggi: mi chiese se volevo collaborare anche con AUTO, per disegnare le anteprime di nuove auto partendo dalle foto spia che arrivavano in redazione. Non ci pensai due volte, risposi di sì. E continuai a farlo per tutta la durata dell’Università, dove poi mi sono laureato in architettura con tesi in disegno industriale su una Lancia. In realtà, seguii i consigli di un redattore: 'Tieniti aperte le due possibilità, Architettura e Design- mi disse - poi al momento opportuno deciderai cosa fare da grande'.

Flavio da giornalista a designer, come nasce un macchina: testa, matita, computer?
“Diciamo tutto insieme. Partire dal foglio bianco come molti pensano, in realtà significa poco o nulla. All’inizio si è sempre un po’ visionari, per carità, perchè non si può dimenticare il fascino della dimensione del sogno. Ma, allo stesso tempo, bisogna essere anche un po’ pragmatici perché se poi quel sogno rimane solo un sogno... La forma deve materializzare l’essenza del progetto, avere la capacità di comunicare con il suo linguaggio formale il significato del progetto stesso, le caratteristiche più importanti. A mio modo di vedere, non c’è design se non c’è innovazione. Ma serve grandissimo rigore nel fondere forma e funzione. Dietro ogni scelta c’è sempre un elemento razionale che va interpretato con l’anima artistica. Qualsiasi progetto, soprattutto in Ferrari, parte da obiettivi precisi, che siano performance, peso, efficienza aerodinamica, consumi... Quindi, la prima cosa che si fa, è definire un packa- ge, lunghezza, larghezza, altezza, passo, posizione di guida; un lavoro a quattro mani con gli ingegneri. Poi viene l’equilibrio generale della vettura e qui abbiamo voce in capitolo noi del design perchè se sbagli proporzioni... Costantin Brancusi, il grande scultore rumeno diceva che “la semplicità è una complessità risolta”. Ecco, penso che questa frase rappresenti perfettamente il nostro lavoro”.

Parliamo di step operativi e di “condizionamenti” del lavoro del designer.
"L’evoluzione delle normative e della tecnologia pongono numerosi vincoli al progetto generale. Ma noi dobbiamo armonizzare tutto in un linguaggio unitario e coerente. Per questo, in realtà, si fa tutto in parallelo. Disegnare, schizzare l’auto a mano libera nella fase di ricerca è abituale, come fare i '3D sketch' che danno una prima idea delle volumetrie. Mi spiego meglio: gli obiettivi sono sempre sfidanti, perchè le soluzioni tecnico-ingegneristiche che permettono di raggiun- gere certi obiettivi sono a volte molto complesse. Ecco, noi dobbiamo interiorizzare al massimo queste soluzioni per farle diventare parti integranti della forma stessa della macchina. Per questo lo scambio di input tra i vari dipartimenti è continuo”.

Quanto pesa (se pesa), in più o in meno, pensare, disegnare e realizzare una vettura ibrida o elettrica?
“Non porrei così la questione. Bisogna comprendere la tipologia del prodotto. Ad essere sinceri, la forma deve rap- presentare, riflettere in modo onesto i contenuti. Non ci sono difficoltà in più o in meno, solo difficoltà diverse. Faccio un esempio: noi in Ferrari abbiamo due sottofamiglie di vetture, le GT, più eleganti come la Portofino e la GTC4 Lusso e poi le sportscar, più legate alle prestazioni e al “fun to drive” come la F8 Tributo o la 812 Superfast che hanno uno spirito diverso, molto condizionate dall’aerodinamica. L’ibrida che, come annunciato uscirà a fine maggio, è più legata a questa famiglia che all’altra”.

Quante persone sono coinvolte nel processo creativo e qual è il tempo medio di lavoro dal foglio bianco alla prima macchina che esce dallo stabilimento?
“Noi in Ferrari abbiamo un team completo di circa 80 persone che sviluppa ogni dettaglio di stile, compresa la squadra di modellatori virtuali e fisici . Tutto quello che è visibile va curato esteticamente da noi, incluso il vano motore. Un progetto di stile qui mediamente dura 14-15 mesi, dal foglio bianco al “design-freeze”, il congelamento della forma. La prima fase dura qualche mese in 2D e 3D, con bozzetti e modelli virtuali. Dal quinto mese iniziamo a realizzare diversi modelli fisici che poi convergono in una sintesi ideale”.

Quali sono le differenze più grandi rispetto al passato, come si lavorava senza computer?
“Quando ho iniziato io si facevano i piani di forma con tecnigrafi lunghi 6 metri. Era un altro mondo, mi ricordava molto mio padre, un geometra mancato architetto. Ma questo sistema aveva il suo fascino, perchè bisognava rendere la tri- dimensionalità di tutte le sezioni. Ogni 50 mm una sezione: un lavoro manuale, certosino. Inutile negarlo, il computer aiuta tantissimo e in modi diversi. Esistono programmi per fare ricerca su modelli 3D molto veloci, altri che aiutano ad affinare la forma tenendo conto di tutti i vincoli, altri infine per realizzare gli stampi. Il computer non sostituisce la matita, però ti fa visualizzare velocemente le varie soluzioni, tenendo ben presente i vincoli da rispettare nelle varie fasi del progetto. Ci sono programmi visualizzatori che rendono l’oggetto molto realistico e che utilizziamo per fare presentazioni”.

Vogliamo parlare dell’ultimo gioiello, la F8 Tributo?
“È un ponte tra vecchia e nuova generazione, prima del rin- novo della gamma che parte a maggio. È stata realizzata sulla base della 488 e porta tante novità in termini di linguaggio. Sono contento del risultato, è un bel passo avanti. Ha una grande presenza scenica, il posteriore è stato apprezzato da tutti, come il frontale, molto grintoso”.

Quali sono le tue macchine preferite tra quelle che hai realizzato? E quali le vetture più belle di sempre?
“Tra le ultime, sono molto legato alla Ferrari FXXK, alla Monza SP1, con il suo fascino da fusoliera monoposto-scultura dinamica, poi la J50 fatta per il Giappone, la 488 Pista, e la F12 TDF. Per quanto riguarda la mia personale graduatoria di bellezza automobilistica, oltre alle Ferrari 330 P3/P4, 350 Can/Am e 288 GTO, ho una grande passione per la Lancia: Fulvia Coupé, Fulvia HF, Stratos. Insomma, quelle dei miei sogni da ragazzo. Se ho avuto maestri o modelli da seguire? Oltre mio pa- dre, direi Roberto Segoni, professore di disegno industriale all’Università di Firenze, un grande. Poi, Marcello Gandini e Giorgetto Giugiaro. Da adolescente collezionavo i cataloghi della Lancia Delta, con i suoi bellissimi disegni a matita in trasparenza. Non li dimenticherò mai...”.

Alla prossima Rossa, Flavio. Resti uno di noi.