A ricostruire le forme della fuoriserie tedesca, che reinterpreta la leggendaria 300 SL coupé di metà Anni Cinquanta, resa celebre anche per le porte ad ala di gabbiano, ha provveduto il nostro Lorenzo Preti, basandosi sulla caratteristica principale del progetto: motore anteriore centrale, abitacolo arretrato, coda corta. Come si addice a una sportiva di razza. Che per garantire prestazioni superiori quanto a bilanciamento — che significa maneggevolezza, tenuta e stabilità — deve avere una distribuzione dei pesi ottimale: 48% davanti, 52% dietro.
Per accorciare i tempi del programma alla AMG, un paio di anni fa, hanno avuto un’idea semplice: utilizzare un paio di Dodge Viper (al tempo Daimler e Chrysler erano ancora... parenti) per collaudare il V8 e il gruppo sospensioni-freni destinate al futuro modello. La berlinetta americana aveva, nemmeno a farlo apposta, la stessa configurazione meccanica e, soprattutto, gli ingombri che gli ingegneri tedeschi stavano definendo per la SLS; non è un caso che il passo risulti identico, cioè 2680 mm.
Mentre le due Viper “muletto” – cui si è successivamente aggiunto un terzo esemplare, come gli altri due verniciato in nero – macinava migliaia di chilometri sulle strade del Colorado, California, Arizona, Sudafrica, Spagna, sud della Francia, e poi ancora sul ghiaccio e neve di Arjeplog, in Svezia, e sul difficile anello nord del Nürburgring – dove sono stati percorsi oltre 10mila km – ad Affalterbach un team di tecnici, aiutandosi con prototipi digitali, elaborava centinaia di modifiche. Determinavano quindi le specifiche delle sospensioni – valutati 40 tipi di cinematismi diversi – dell’impianto frenante con dischi in carboceramica, del sistema di scarico, della trasmissione col differenziale in blocco col cambio.
E dello chassis, che è un capolavoro di ingegneria – in estrusi di alluminio, pesa solo 241 kg – e gli accorgimenti per conferire alle strutture gli standard di sicurezza più elevati possibili. Avvalendosi, anche in questa fase progettuale, di migliaia di simulazioni al computer. I “crash test” veri e propri – oltre 35 – sono invece costati la demolizione di otto prototipi.