Il terremoto giudiziario che ha investito la giunta milanese, con l’iscrizione del sindaco Beppe Sala nel registro degli indagati per presunti illeciti nella gestione urbanistica, apre scenari politici e amministrativi tutt’altro che scontati. Mentre l’opposizione chiede a gran voce le dimissioni del primo cittadino, i suoi alleati fanno quadrato, almeno pubblicamente. Ma l’aria è cambiata. E allora la domanda sorge spontanea: se Sala lasciasse Palazzo Marino, cosa ne sarebbe delle politiche che hanno trasformato la mobilità milanese negli ultimi anni?
Non è una questione secondaria. Perché Milano è oggi il laboratorio italiano della mobilità urbana: zone a traffico limitato, Area B e Area C, incentivi elettrici, limiti di velocità, flotte pubbliche rinnovate, monopattini, sharing, app. Tutto ruota attorno a un’idea precisa di città sostenibile, spesso applaudita a livello europeo, ma anche contestata per rigidità e impatto su residenti, commercianti e automobilisti.
Sala e la mobilità: una visione netta, non senza critiche
Beppe Sala è stato il primo sindaco italiano a dichiarare guerra aperta all’auto privata inquinante, con provvedimenti via via più restrittivi. Le zone a basse emissioni, introdotte prima dell’era pandemica, sono diventate nel tempo veri e propri muri invisibili per i veicoli più vecchi. Non solo: con Area B, che coinvolge quasi tutto il territorio comunale, il Comune ha imposto regole tra le più stringenti d’Europa per l’accesso dei mezzi a motore, colpendo duramente diesel e benzina Euro 0-4.
Le reazioni? Industria e cittadini divisi. Se da una parte c’è chi apprezza la svolta ecologista e gli investimenti in mobilità dolce, dall’altra c’è chi accusa l’amministrazione di aver agito in modo unilaterale, senza ascolto né gradualità, scaricando costi e responsabilità su famiglie, artigiani e imprese di trasporto.
Il tutto in una cornice nazionale dove la transizione energetica è frenata da incentivi intermittenti, infrastrutture carenti e una rete elettrica poco capillare, soprattutto fuori dalle grandi città. Milano, in questo senso, ha corso da sola. Ma cosa accadrebbe se a guidarla non ci fosse più Sala?
Dimissioni e scenari: la regolamentazione può cambiare?
La prima cosa da sapere è che le ZTL e le limitazioni del traffico sono regolamentate da delibere comunali e non da leggi nazionali. Questo significa che un cambio al vertice politico del Comune può tradursi in una revisione, alleggerimento o perfino sospensione di alcune misure esistenti, se il nuovo sindaco o la nuova giunta dovessero avere una visione diversa.
Immaginiamo tre scenari:
1. Una giunta tecnica o di transizione
Se Sala si dimettesse prima della fine del mandato (2026), il prefetto potrebbe nominare un commissario straordinario che gestirebbe l’ordinaria amministrazione fino a nuove elezioni. In questo caso, le politiche sulla mobilità già in vigore difficilmente verrebbero toccate, ma progetti in fase decisionale potrebbero subire uno stop o un rallentamento.
2. Vittoria del centrodestra alle elezioni anticipate
Una delle ipotesi più concrete in caso di voto anticipato. La Lega, da sempre critica verso Area C e Area B, potrebbe premere per una revisione delle restrizioni, magari introducendo deroghe per commercianti e residenti o allentando il calendario dei divieti. Il tutto con un messaggio politico chiaro: meno penalizzazioni per chi guida, più gradualità nella transizione.
3. Conferma del centrosinistra con altro nome
Anche se il centrosinistra dovesse mantenere il Comune, un nuovo sindaco potrebbe voler riposizionare l’agenda ecologista con maggiore dialogo, soprattutto con categorie produttive e pendolari. La mobilità sostenibile resterebbe una priorità, ma magari con meno rigidità e più incentivi.
L’automotive milanese alla finestra
Milano è da tempo il barometro dell’automotive italiano: le vendite di auto elettriche sono più alte che altrove, la penetrazione del car sharing è tra le più alte d’Europa, il dibattito su mobilità e sostenibilità è vivo. I costruttori guardano a Milano come piazza test per nuovi modelli e servizi, dalle auto connesse ai veicoli urbani a zero emissioni.
Ma l’incertezza politica può raffreddare investimenti e sperimentazioni. Nessuno vuole puntare su una città che potrebbe cambiare linea da un giorno all’altro. Ecco perché, a prescindere dal destino giudiziario di Sala, serve una visione condivisa e una roadmap chiara per il futuro della mobilità.
Il rischio paralisi
Nel caso più estremo — dimissioni, commissariamento, elezioni anticipate e vittoria del centrodestra — Milano potrebbe diventare il teatro di un brusco cambio di rotta, con stop a nuove misure ambientali, maggiore tolleranza per i veicoli tradizionali, e una retorica più populista sul diritto a muoversi liberamente.
Ma anche l’immobilismo è un pericolo concreto. Bloccare o sospendere tutto in attesa di decisioni future significherebbe rallentare una transizione che, con tutti i suoi limiti, Milano aveva avviato con forza. I cittadini, gli operatori della mobilità e l’intero settore automotive si ritroverebbero in una fase di stallo, incerti su cosa aspettarsi.
Verso una mobilità condivisa (non solo nei mezzi)
Al di là delle vicende giudiziarie e delle speculazioni politiche, il vero tema è un altro: Milano può permettersi di tornare indietro sulla mobilità sostenibile? La risposta è no. La qualità dell’aria, i target europei, il clima urbano, il trasporto pubblico, la sicurezza stradale: sono tutti tasselli di un puzzle che non può essere smontato.
Ma serve un nuovo patto sociale, in cui le scelte non siano imposte ma condivise, spiegate, incentivate. La mobilità del futuro non si costruisce con divieti e multe, ma con infrastrutture, ascolto e visione.
E se domani Beppe Sala annunciasse le dimissioni, Milano dovrebbe chiedersi non solo chi guiderà la città, ma che idea di mobilità vogliamo lasciare ai prossimi dieci anni.