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Mobilità elettrica in Italia: interesse alto, ma trasformare la domanda in vendite resta una sfida

© Zaptec

Secondo la sesta edizione dello Studio eReadiness 2025 di PwC Strategy&, l’Italia ottiene un punteggio dell’indice eReadiness pari a 2,5 su 5, in calo rispetto ai 2,9 registrati nel 2024. Questa performance condanna il nostro Paese verso le posizioni più basse in Europa, ben distanti da Francia (3,8) e Germania (3,4).  

Questo indicatore composito misura il grado di maturità di un mercato nella transizione verso la mobilità elettrica, attraverso quattro leve: domandaoffertaincentivi e infrastrutture.  

In pratica, l’Italia fatica su quasi tutti i fronti: la spinta dei consumatori rischia di restare in parte inespresso.

Interesse in crescita, ma la conversione è debole

Un dato sorprendente: il 38% degli italiani dichiara che, nei prossimi 24 mesi, potrebbe acquistare un’auto a batteria, contro il 33% rilevato nel 2024. Questo livello è “alla pari” con quello della Germania.  

Eppure, le immatricolazioni reali dicono un’altra storia: nel primo semestre del 2025, solo il 10,5% dei nuovi veicoli in Italia è elettrico, contro la media europea del 24%. Un divario che testimonia quanto difficile sia trasformare l’interesse in acquisto concreto.  

Francesco Papi, Partner PwC Strategy& e responsabile del settore auto, avverte: «Si sta perdendo l’occasione di convertire la domanda in nuove vendite di veicoli elettrici». Allo stesso tempo, sottolinea che l’Italia ha un “dichiarato” al 38%, pari proprio a quello della Germania, ma con una quota reale di BEV + PHEV solo al 27,6% nel mercato tedesco — e molto più alta che da noi.  

Le barriere che frenano la diffusione

Prezzi: ancora troppo alti

Il gap di prezzo tra elettriche e termiche persiste: le BEV compatte costano circa il 23% in più rispetto alle equivalenti ICE, mentre la differenza si riduce al 9% nel segmento C. Nei segmenti superiori (D, E, F), paradossalmente, le elettriche risultano anche più economiche del 24%.  

In un Paese dove il reddito medio è più basso, specialmente al Sud, il sovrapprezzo pesa significativamente. Inoltre, la riduzione del delta rispetto al prezzo di auto a combustione è ancora insufficiente per convincere molti indecisi.

Autonomia e ricarica: limiti strutturali

I consumatori sono particolarmente sensibili all’autonomia, specialmente per le compatte, e ai tempi di ricarica. Queste preoccupazioni sono più accentuate in Italia rispetto ad altri Paesi europei.  

Sul lato infrastrutturale, il numero di colonnine pubbliche per 1.000 veicoli è stabile e basso: 1,4 punti di ricarica per 1.000 auto, ben distante da Francia (3,9) e Germania (3,2). Le colonnine ultra-fast (> 150 kW) costituiscono solo il 7% del totale, contro il 17% in Germania e l’11% in Francia e Regno Unito.  

Queste carenze limitano la possibilità concreta di fare lunghe percorrenze senza “ansia da ricarica” e rendono difficile il passaggio a una mobilità elettrica diffusa.

Il punto di vista degli attuali proprietari e degli scettici

Tra gli EV owner italiani, la soddisfazione è elevata: circa il 90% si dichiara contento dell’acquisto. I fattori positivi includono l’esperienza di guida e la comodità della ricarica domestica.  

Tuttavia, emergono critiche: carenza di infrastrutture pubbliche (43%), calo delle prestazioni della batteria a basse temperature (36%) e costi di manutenzione superiori alle attese (32%).  

Circa il 63% degli EV owner ricarica principalmente a casa o in ufficio; cresce però l’uso della ricarica pubblica (37%, vs. 28% del 2024).  

Curiosamente, il 49% di chi possiede un’auto elettrica considera l’usato per la prossima vettura, ma solo se è garantita la copertura della batteria (58% dei casi).  

Tra gli EV sceptic (circa un terzo del campione), i dubbi rimangono: autonomia limitata, tempi lunghi di ricarica e costi elevati sono le ragioni principali del rifiuto. In Italia, queste barriere sono percepite con maggior forza rispetto ad altri paesi UE.  

Proposte, riflessioni e percorsi utili

  1. Incentivi efficaci ma non sufficienti: Gli incentivi all’acquisto continuano a svolgere un ruolo di stimolo, ma — con risorse ridotte e requisiti più restrittivi rispetto allo scorso anno — non bastano da soli a superare le barriere strutturali. Papi afferma che prima bisogna intervenire su infrastrutture, prezzi e autonomia affinché gli incentivi diano risultati reali.  
  2. Espansione rapida e intelligente della rete di ricarica: È necessaria una strategia nazionale accelerata per installare colonnine ultra-fast e potenziare la rete pubblica, ben distribuita su tutto il territorio, con priorità ai collegamenti extraurbani e alle aree meno servite.
  3. Offerta di auto elettriche più accessibili: Per avvicinare il grande pubblico, servono modelli elettrici più economici e coerenti con le esigenze dei consumatori italiani — in particolare nelle fasce A e B, dove il mercato “mass market” è più sensibile al prezzo e all’autonomia.
  4. Integrazione con il sistema energetico e incentivi tecnologici: La mobilità elettrica va vista come parte di un ecosistema più ampio: integrazione con la rete elettrica, smart charging, vehicle-to-grid e incentivi per batterie di nuova generazione possono moltiplicare i benefici della transizione. Studi recenti dell’Unione Europea evidenziano che la ricarica intelligente può ridurre i costi complessivi del sistema elettrico. (Vedi anche modelli di transizione dei trasporti nel contesto energetico europeo)  

La transizione non è un automatismo

L’Italia ha in mano un potenziale notevole: l’interesse verso l’elettrico cresce, i proprietari sono soddisfatti, e il quadro europeo spinge verso una progressiva decarbonizzazione dell’auto. Tuttavia, il rischio è che la domanda potenziale resti “in panchina” se non si riesce a costruire le condizioni perché la transizione diventi semplice, conveniente e credibile.

Senza una visione coordinata — tra case automobilistiche, operatori di rete, istituzioni, finanziatori — il divario con gli altri paesi europei rischia di ampliarsi. Il settore automobilistico merita un trattamento strategico: non solo come industria, ma come infrastruttura sociale capace di guidare il cambiamento verso modelli più sostenibili.