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Mobilità elettrica in Italia: interesse alto, ma trasformare la domanda in vendite resta una sfida
L’Italia registra un calo nell’eReadiness, ma cresce la quota di cittadini interessati all’acquisto di un’auto elettrica nei prossimi due anni. Il rischio? Che l’intenzione non si traduca in vendite. Le cause principali: prezzi, autonomia e infrastrutture.

Luca Talotta
1 ott 2025
Secondo la sesta edizione dello Studio eReadiness 2025 di PwC Strategy&, l’Italia ottiene un punteggio dell’indice eReadiness pari a 2,5 su 5, in calo rispetto ai 2,9 registrati nel 2024. Questa performance condanna il nostro Paese verso le posizioni più basse in Europa, ben distanti da Francia (3,8) e Germania (3,4).
Questo indicatore composito misura il grado di maturità di un mercato nella transizione verso la mobilità elettrica, attraverso quattro leve: domanda, offerta, incentivi e infrastrutture.
In pratica, l’Italia fatica su quasi tutti i fronti: la spinta dei consumatori rischia di restare in parte inespresso.
Interesse in crescita, ma la conversione è debole
Un dato sorprendente: il 38% degli italiani dichiara che, nei prossimi 24 mesi, potrebbe acquistare un’auto a batteria, contro il 33% rilevato nel 2024. Questo livello è “alla pari” con quello della Germania.
Eppure, le immatricolazioni reali dicono un’altra storia: nel primo semestre del 2025, solo il 10,5% dei nuovi veicoli in Italia è elettrico, contro la media europea del 24%. Un divario che testimonia quanto difficile sia trasformare l’interesse in acquisto concreto.
Francesco Papi, Partner PwC Strategy& e responsabile del settore auto, avverte: «Si sta perdendo l’occasione di convertire la domanda in nuove vendite di veicoli elettrici». Allo stesso tempo, sottolinea che l’Italia ha un “dichiarato” al 38%, pari proprio a quello della Germania, ma con una quota reale di BEV + PHEV solo al 27,6% nel mercato tedesco — e molto più alta che da noi.
Le barriere che frenano la diffusione
Prezzi: ancora troppo alti
Il gap di prezzo tra elettriche e termiche persiste: le BEV compatte costano circa il 23% in più rispetto alle equivalenti ICE, mentre la differenza si riduce al 9% nel segmento C. Nei segmenti superiori (D, E, F), paradossalmente, le elettriche risultano anche più economiche del 24%.
In un Paese dove il reddito medio è più basso, specialmente al Sud, il sovrapprezzo pesa significativamente. Inoltre, la riduzione del delta rispetto al prezzo di auto a combustione è ancora insufficiente per convincere molti indecisi.
Autonomia e ricarica: limiti strutturali
I consumatori sono particolarmente sensibili all’autonomia, specialmente per le compatte, e ai tempi di ricarica. Queste preoccupazioni sono più accentuate in Italia rispetto ad altri Paesi europei.
Sul lato infrastrutturale, il numero di colonnine pubbliche per 1.000 veicoli è stabile e basso: 1,4 punti di ricarica per 1.000 auto, ben distante da Francia (3,9) e Germania (3,2). Le colonnine ultra-fast (> 150 kW) costituiscono solo il 7% del totale, contro il 17% in Germania e l’11% in Francia e Regno Unito.
Queste carenze limitano la possibilità concreta di fare lunghe percorrenze senza “ansia da ricarica” e rendono difficile il passaggio a una mobilità elettrica diffusa.
Il punto di vista degli attuali proprietari e degli scettici
Tra gli EV owner italiani, la soddisfazione è elevata: circa il 90% si dichiara contento dell’acquisto. I fattori positivi includono l’esperienza di guida e la comodità della ricarica domestica.
Tuttavia, emergono critiche: carenza di infrastrutture pubbliche (43%), calo delle prestazioni della batteria a basse temperature (36%) e costi di manutenzione superiori alle attese (32%).
Circa il 63% degli EV owner ricarica principalmente a casa o in ufficio; cresce però l’uso della ricarica pubblica (37%, vs. 28% del 2024).
Curiosamente, il 49% di chi possiede un’auto elettrica considera l’usato per la prossima vettura, ma solo se è garantita la copertura della batteria (58% dei casi).
Tra gli EV sceptic (circa un terzo del campione), i dubbi rimangono: autonomia limitata, tempi lunghi di ricarica e costi elevati sono le ragioni principali del rifiuto. In Italia, queste barriere sono percepite con maggior forza rispetto ad altri paesi UE.
Proposte, riflessioni e percorsi utili
- Incentivi efficaci ma non sufficienti: Gli incentivi all’acquisto continuano a svolgere un ruolo di stimolo, ma — con risorse ridotte e requisiti più restrittivi rispetto allo scorso anno — non bastano da soli a superare le barriere strutturali. Papi afferma che prima bisogna intervenire su infrastrutture, prezzi e autonomia affinché gli incentivi diano risultati reali.
- Espansione rapida e intelligente della rete di ricarica: È necessaria una strategia nazionale accelerata per installare colonnine ultra-fast e potenziare la rete pubblica, ben distribuita su tutto il territorio, con priorità ai collegamenti extraurbani e alle aree meno servite.
- Offerta di auto elettriche più accessibili: Per avvicinare il grande pubblico, servono modelli elettrici più economici e coerenti con le esigenze dei consumatori italiani — in particolare nelle fasce A e B, dove il mercato “mass market” è più sensibile al prezzo e all’autonomia.
- Integrazione con il sistema energetico e incentivi tecnologici: La mobilità elettrica va vista come parte di un ecosistema più ampio: integrazione con la rete elettrica, smart charging, vehicle-to-grid e incentivi per batterie di nuova generazione possono moltiplicare i benefici della transizione. Studi recenti dell’Unione Europea evidenziano che la ricarica intelligente può ridurre i costi complessivi del sistema elettrico. (Vedi anche modelli di transizione dei trasporti nel contesto energetico europeo)
La transizione non è un automatismo
L’Italia ha in mano un potenziale notevole: l’interesse verso l’elettrico cresce, i proprietari sono soddisfatti, e il quadro europeo spinge verso una progressiva decarbonizzazione dell’auto. Tuttavia, il rischio è che la domanda potenziale resti “in panchina” se non si riesce a costruire le condizioni perché la transizione diventi semplice, conveniente e credibile.
Senza una visione coordinata — tra case automobilistiche, operatori di rete, istituzioni, finanziatori — il divario con gli altri paesi europei rischia di ampliarsi. Il settore automobilistico merita un trattamento strategico: non solo come industria, ma come infrastruttura sociale capace di guidare il cambiamento verso modelli più sostenibili.
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