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Guido Meda: "Confesso, desidero solo la M3, vera mamma BMW"

Viene male a pensare allo scempio che si è fatto di certe macchine che meriterebbero di sfilare lustre e incerate, ora che il loro tempo è passato. Ma se non altro hanno vissuto. La Bmw M3, in tutte le sue serie, sta diventando un oggetto di culto dopo che la sua popolazione è stata decimata dalle trasformazioni in auto da spettacoli stunt, auto da drifting, auto da salita, auto da pista, auto da questo e da quello.

Dopo essere sopravvissute intonse sono diventate nella loro seconda vita sparafangate, smarmittate, con i differenziali saldati e svuotate di tutto il bello che avevano dentro. Fui personalmente tra coloro che comprarono una M3, una E36 3200 del 1997 con cambio manuale a metà degli anni 2010. Ed ero anch’io tra coloro che credevano di poter diventare bravini a fare drifting.

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“L’allungo sibilante e progressivo di quell’aspirato portentoso”

Questo drifting di cui in tanti si riempivano la bocca, che poi era l’andare in giro derapando il più possibile, sembrava l’ultima frontiera del divertimento e della competizione automobilistica. Graziano Rossi, il papà di Valentino, era il mio ideologo; era lui che mi aveva convinto all’acquisto, lui che voleva trasformare me e la mia macchina in qualcuno e qualcosa che andassero sempre molto di traverso con le gomme fumanti. Comprai il mio mezzo da 321 cavalli da Michele, al confine tra Marche ed Emilia e ci viaggiai d’estate verso Milano con l’intento iniziale di arrivare a casa e svuotarla di sedili, cruscotto e qualsiasi orpello o accessorio che la appesantisse. Già verso Bologna però avevo cambiato idea.

La radica occhieggiava lustra dal cruscotto, la pelle dei sedili profumava ancora di fabbrica, l’aria condizionata funzionava perfettamente rinfrescando quella giornata torrida. Ad ogni ripartenza aspettavo che iniziasse l’allungo sibilante e progressivo di quell’aspirato portentoso, il cambio era un burro. Non fosse stato per quelle sue endemiche e clamorose leggerezza e imprecisioni dell’avantreno che si facevano vive dopo i centottanta all’ora, avrei fatto il viaggio con il pedale del gas a battuta.

Innamorato pazzo di un mezzo leggendario

Il proprietario precedente aveva eliminato l’autolimitazione della velocità e la mia M3 sapeva sfiorare i duecentottanta. Tradii Graziano e abiurai il drifting; non mi presentai mai, neanche per sbaglio, a nessun raduno di traversisti, limitandomi ad usare la macchina, forte o piano purché piacesse a me e piacesse a lei, senza sciacallarla e senza farla soffrire. Mi innamorai perdutamente di quel mezzo leggendario. Cercai di affiancarle una più anziana E30 arrendendomi davanti alle quotazioni impazzite all’insú. Osservai le evoluzioni del modello (salite fino alla M3 Competition) stampandomi la M con le sue bande bianche, rosse e blu nel cuore accanto al bollo dell’Alfa Romeo.

M3, tutto il resto scompare

La M ha assunto per me un significato intenso e ben connotato, sopravvissuto senza trasfigurazioni in tutto ciò che è venuto dopo. Ogni M che ho provato in seguito, che fosse la 3, la 1, la 2, la 4 o la 5 mi ha sempre raccontato la stessa storia. È un’auto che è una saga. Ho comprato libri, sono diventato maniaco come non credevo potesse accadermi.

Un’auto che parla di sport per davvero, con solidità tedesca, i volumi accoglienti, la ciclistica racing, l’estetica arrogante ma elegante. La M3 è la vera mamma BMW di tutto ciò. È quello che vorrei da ogni auto, quella che spinge via l’ipotesi elettrica ogni volta che si affaccia e che non mi fa sentire pronto per nient’altro che lei. Quella che vorrei avere sempre attorno a me, sotto di me, tra le mie mani. La M3.

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