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Giappone, il problema che non c'era: colonnine troppe e obsolete

La storia prende spesso pieghe inaspettate, creando paradossi e intrighi difficili da sbrogliare. Il Giappone, in prima linea nella battaglia per la sostenibilità ecologica e per una mobilità green, si ritrova con molte più colonnine del necessario, dato uno sviluppo non coerente (con le aspettative) del settore auto.

Colonnine diventate vecchie

Dal 2012 sono stati investiti 900 milioni di dollari per costruire le stazioni di ricarica, in modo da facilitare progressivamente l’utilizzo di auto elettriche. Soldi pubblici spesi per una rete fittissima di colonnine, alcune delle quali hanno 9-10 anni di vita. Il tutto mentre il settore automotive elettrico non decollava - contrazione del mercato, pandemia da Covid, crisi del settore dei chip - e ad oggi è fermo all’1% del mercato generale. Le stazioni di ricarica, con la loto vita media di 8 anni, sono diventate vecchie e si sommano ad altre centinaia di poli non utilizzati. I numeri parlano di 30.300 colonnine a marzo 2020, scese a 29.200 nel 2021.

Nuove soluzioni

Nel 2022 saranno spesi altri soldi per il rinnovamento delle strutture e sarà necessario studiare soluzioni più strategiche per il posizionamento delle stazioni: “In futuro sarà fondamentale posizionare i caricabatterie in punti convenienti per gli utenti e garantire che non scadano tutti in una volta per sostenere la crescita della mobilità elettrica”, ha detto Tsuyoshi Ito, manager di e-Mobility Power. Entro il 2030 i programmi del paese parlano di 150mila colonnine, con 1.000 superveloci in autostrada. Il punto è: quale è l’obiettivo? Se lo scopo è raggiungere i numeri prefissati, non sarà difficile. Se il problema è massimizzare la convenienza, la strada presa finora è controproducente e quindi sbagliata.

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