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Guido Meda: La consapevolezza delle nuove generazioni

È arrivato il momento in cui andava prelevato, portato in un grande spiazzo privato e recintato e valutato per come se la cavava. Mio figlio Filippo, intendo. Con il volante tra le mani intendo. Lui è un tipo tosto di anni quattordici, carino, simpatico, di intelligenza abbondante e intuito fulminante. Ma il volante in mano è un’altra cosa. Allora: lo vedi dal primo contatto se hai generato un appassionato di punta o un automobilista tra tanti.

Dopo l’esperimento, direi che è la seconda. Abbiamo proceduto all’imbrunire, su Alfa Romeo 1750 berlina del 1969; messa a punto bene per carità, ma con il suo volante diretto e pesante, la sua frizione bella dura e mica tanto modulabile, il suo cambio burroso ma esigente. Situazione bastarda un bel po' per il suo debutto. La prima partenza è niente male, neanche un balzo!

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Va via bello dritto, proprio come aveva memorizzato che si dovessero affrontare le sequenze dei movimenti per guidare. Si impegna in tutta una serie di esercizi impeccabili, migliorando sempre. Fino alla telefonata di Matteo che lo invita a casa sua per i videogames (dove poi peraltro si beccherà pure il Covid). E Filippo dice mica no a Matteo. Non gli racconta di essere alle prese con la cosa più bella del mondo, la migliore di sempre. Mi chiede anzi di accompagnarlo da Matteo, che con la guida per quel giorno lì può bastare.

Mi dice un bel grazie, mi abbraccia proprio come sa fare lui che è davvero il più tenero del mondo quando sente che la mia attitudine di padre è più simile a quella di un fratello. Poi nel tragitto mi spiega che gli piacerebbe un motorino, “per andare dagli amici e a scuola”. Oppure una macchinina elettrica. “Perché?” dico io “non vuoi sentire un motore?”. “Non inquina”, dice lui, “La parcheggi bene, è economica, non vai più dal benzinaio…”. “E poi?” chiedo ancora io. “E poi, sì papà, è anche divertente da guidare”.

Ma lo dice in ultima istanza, un po' come se fosse una cortesia che mi fa. E in effetti è una cortesia che mi fa: quella di spiegarmi che non siamo tutti uguali, che questa generazione che magari non ha dentro milioni di piloti di Formula 1, può contare su gente in gamba e consapevole. In un ultimo egoistico colpo di coda penso alla Porsche Taycan, come minimo, e Filippo mi risponde Citroën Ami. Me la mostra sul device, goffa e divertente come un fumetto per grandi e piccoli, e intuisco che ne serviranno due. Una per lui e una anche per me. Commuting e passione. Un po’ di lui e un po’ di me.