Caro Governo, cosa hai da dirci per l'auto?

AUTO GOVERNO

di Redazione

26.04.2013 ( Aggiornata il 26.04.2013 09:21 )

Gli automobilisti sono tutti elettori, e se aggiungiamo i motociclisti ecco che gli utenti della strada sono la categoria più numerosa in senso assoluto. Ed è anche quella che contribuisce in percentuale maggiore agli introiti fiscali. Ma come sempre, sia i partiti tradizionali sia quelli nuovi (moderati o battaglieri che fossero) non hanno saputo offrire nulla per attirare il voto.

Anzi, in nome di un ecologismo di facciata, non pochi candidati si sono scagliati contro la mobilità individuale, contro i progetti di costruzione di nuove strade, contro i programmi di sviluppo delle infrastrutture. E nessuno ha saputo cogliere il disagio dei motorizzati di fronte alle continue angherie e vessazioni: con le leggi, con la segnaletica, con le imposizioni locali, con le differenze fra Regione e Regione, fra Provincia e Provincia, fra città e città.
Possibile che il tanto auspicato federalismo si sia tramutato nella facoltà attribuita a ciascuna Provincia di aggiungere il 30% alla tassa di iscrizione al PRA? E nella facoltà concessa alle Regioni di sanare il bilancio della Sanità applicando accise regionali sulla benzina? Possibile che perfino sul premio della RCAuto ogni Provincia possa differenziarsi applicando imposte diverse? E cosa dire della applicazione delle leggi del Codice che ogni Prefetto interpreta in modo diverso? Prendete il caso dell’ormai famigerato articolo 126 bis, quello che condanna al pagamento di altri 304 euro se non si comunicano entro 60 giorni i dati di chi guidava. Miete vittime ogni giorno, ed è indecente che nessuno fra Prefetti, Cassazione e amministratori si sia interessato per chiarire cos’è la “data di accertamento” (che per i latini era dies crimini certum est – ovvero il giorno in cui il reato diventa vero e non il giorno in cui il vigile Pinco Pallo si sveglia e scrive che l’anno prima avete dimenticato di inviargli i vostri dati).

Sono questi i problemi della gente, che notabili, onorevoli e candidati hanno trascurato. Così la gente li ha ricambiati col gigantesco voto di protesta. E con l’astensionismo. Ora si riparte e a noi piacerebbe essere positivi: suggerire, non protestare; indicare i problemi, non criticare.



Colpo grosso prima di sparire


Al primo posto metterei il problema multe, al secondo le strutture stradali. Le multe sono diventate una rapina periodica che colpisce a caso anche chi guida con prudenza. L’arroganza di chi gestisce le diaboliche macchinette non conosce pudore. Ora anche le Province battono la strada in cerca di soldi facili. Guardate le foto pubblicate a pagina 46: sono il fronte e il retro di un viadotto sulla Tangenziale sud (SP BS n.11) in provincia di Brescia. Il cartello che vedete è simile a molti altri che si incontrano. Avverte che da qualche parte c’è un autovelox, che però non si vede, come vorrebbe la legge. Siete su una tangenziale a due carreggiate separate, ciascuna con doppia corsia, che stando al Codice consente una velocità di 110 km/h.
 
Ma su quell’arteria la Provincia di Brescia ha posto il limite di 90, lo stesso che ha applicato – 10 km prima, sulla sponda orientale del lago d’Iseo – nelle gallerie strette e tortuose, a una sola carreggiata, mal illuminate, con i catarifrangenti anneriti dalla incuria di sempre. Bene, guardate ora cosa c’è dall’altra parte del viadotto: una telecamera della Provincia di Brescia che vi immortala e che pretende 183 Euro se andavate alla prudente velocità di 102 km/h (vedi verbale). Ecco, noi vorremmo che quei soldi servissero almeno a pulire i catarifrangenti. E che limiti incoerenti applicati dallo stesso ente sulla stessa strada non fossero apposti – e poi pretestuosamente giustificati in nome della sicurezza - solo per spillare soldi. Che i Comuni (con poche eccezioni) cerchino ogni espediente per tendere trappole lo sappiamo; che alcune Province — prima di essere cancellate — passeggino sul marciapiede e imitino le gabelle dei Comuni ci lascia molto amaro in bocca. Il fatto stesso che le multe siano arrivate a toccare la vetta di 78 milioni l’anno e che siano in costante ascesa, al di fuori di ogni logica di rapporto civile fra cittadini e amministratori, dovrebbe aprire gli occhi ai futuri governanti. C’è del marcio in giro e sappiamo dove prolifica. Non fate finta di non saperlo.

Strade: Satele almeno uguali

Le infrastrutture stradali sono da sempre la fotografia del federalismo, ancor prima che lo inventassero. Forse è più corretto dire che sono il simbolo dell’autonomia locale. Ogni sindaco inventa i suoi divieti di circolazione per certi veicoli e per certi giorni, sempre con la scusa di migliorare l’ambiente, mai con la dimostrazione di aver raggiunto lo scopo. Ogni assessore alla viabilità inventa i suoi divieti di sosta, i suoi sensi vietati, le sue ZTL, qualche volta per migliorare il traffico, molto più spesso per favorire interessi di bottega.

Ogni Giunta regala a ditte — più private che pubbliche — aree di parcheggio da trasformare in zone blu a pagamento, senza rispettare la legge che impone “un numero adeguato di spazi gratuiti”, quando si disegnano strisce blu.

L’assurdo è che il Comune incassa molto poco da tali regalie perché tutto il grasso finisce in mano ai privati (leggi: amici di partito) che gestiscono i parcometri o il “gratta e sosta”. Ma c’è anche la beffa: la nuova Giunta di Milano, per scoraggiare l’uso dell’auto, ha trasformato a pagamento gli spazi di periferia vicino alle stazioni della metro: così chi usava il mezzo pubblico per recarsi in centro ora trova più conveniente andarci in macchina.

Ogni comandante di polizia municipale stabilisce quali sono i punti e i metodi per mettere autovelox e fare cassa, come “adeguare” i limiti di velocità sulle provinciali e raggiungere meglio lo stesso scopo. E ancora decide lui come si costruiscono i marciapiedi, come si disegnano le rotonde e chi ha la precedenza, quando obbligare all’uso delle catene per la neve. Insomma, più che federalismo questa “inventiva interessata” è anarchia bella e buona. Ecco, noi vorremmo che il nuovo Parlamento unificasse l’Italia, dettando regole uniformi per tutto questo. E poi controllando ferocemente se qualcuno non le applica.

Semplificateci la vita!

Al terzo posto mettiamo la burocrazia. Da spazzar via, assieme al doppione della Motorizzazione, cioè all’inutile PRA. Una volta guidare era un piacere, come il caffè di Manfredi; oggi è rischioso, complicato, difficile. Ma possedere un’auto lo è ancor di più: bollo annuale, assicurazione annuale, revisione ogni due anni (dopo i primi 4), revisione della patente.
Tutte operazioni che sembrano inventate per sommergere l’automobilista con pezzi di carta e compiti inutili. Prendiamo il rinnovo della patente: in Gran Bretagna la driving licence viene rilasciata una volta ed è valida fino ai 65 anni, senza alcuna formalità aggiuntiva, senza visite mediche periodiche. Se una persona si ammala in modo da compromettere la sicurezza sua e degli altri, il suo medico di famiglia è obbligato a trasmettere una segnalazione al Dipartimento dei Trasporti. Che chiamerà il cittadino ad un controllo. Per non parlare della vendita di un usato o della sua rottamazione.

In Francia, in Germania, in GB costano quasi nulla e si fanno in pochi minuti. Da noi sono tanto costose che hanno distrutto il commercio dell’usato. E sono complicate. Se non lo sapete, per cedere un usato ad un amico o a un parente, occorrono ben 35 “accessi”, che nel linguaggio burocratese equivalgono a documenti o code agli sportelli. Se prendete una multa e dovete segnalare i dati di chi guidava, non basta il sistema moderno usato in tutto il mondo, cioè un email, non basta una lettera, non basta nemmeno una raccomandata: occorre una raccomandata con ricevuta di ritorno, al modico prezzo di 5,90 euro, più un’ora di coda alle poste. Oppure una casella email certificata. Indecente.

Basta spillare soldi

E ora parliamo dei quattrini che escono dalle tasche degli automobilisti ancor prima di mettere in moto. Sappiamo che i Governi hanno bisogno di soldi e che quelli deboli hanno sempre scelto i carburanti per far cassa rapidamente. Ce ne rendiamo conto. Ma quando si spreme troppo il limone esce anche l’amaro della buccia.

Primo esempio: l’aumento stratosferico delle accise sulla benzina ha fatto guadagnare il fisco, ma solo fino a qualche mese fa. Poi è crollato verticalmente l’uso dell’auto, e il fisco incassa molto meno di quanto lucrava due anni fa.

Secondo esempio: il superbollo sulle auto potenti. Doveva rendere centinaia di milioni, ma è stato un flop, perché in molti sono andati a immatricolare all’estero, sottraendo quindi all’erario anche l’Iva, la tassa di iscrizione, il bollo, e le tasse sulla RCa. Proprio una bella pensata, naufragata nel ridicolo come risultato e come gettito. Da cancellare subito. O da addebitare a chi l’ha inventata. Ecco, vorremmo che il Fisco non si desse la zappa sui piedi, calcando la mano con aumenti vertiginosi di tutto ciò che odora di benzina. E che l’automobilista non venisse usato solo per tappare i buchi del bilancio, statale o comunale che sia. Sarebbe un gradevole segno di intelligenza se i nuovi politici si accorgessero di questo.

C’è, poi, un ultimo aspetto che dobbiamo urlare a chi ci governerà
. Il settore che ruota attorno all’auto preme per avere incentivi e rilanciare il mercato, davvero in seria crisi. Ogni giorno decine di concessionari sono sull’orlo della chiusura. Si invocano misure per agevolare l’acquisto di nuove auto, giustificando la spesa col fatto che il parco circolante sarebbe vecchio, inquinante e poco sicuro. Non è vero. La stessa Acea, l’associazione dei costruttori europei, ha rivelato pochi mesi fa che il parco auto italiano è quello più giovane d’Europa, esattamente con l’età media più bassa, come auto sostiene da molti anni.

Se non ne compriamo più è per l’insieme di queste tre cause:

1) non abbiamo più soldi;
2) le auto di oggi durano molto di più e sono decisamente più affidabili e sicure;
3) abbiamo avuto incentivi dal 1987 e siamo sazi di macchine
.

Quindi, basta incentivi, sono una droga per le vendite e anche per i bilanci delle famiglie. E infatti le Case più serie non li richiedono più, preferiscono competere ad armi pari sul mercato. Ma c’è un falso rovescio della medaglia. Le Giunte comunali, i finti ecologisti, i talebani dell’ambiente vorrebbero limitare il traffico nelle città, aprendo le porte ai soli veicoli che loro considerano ecologici. Il che si traduce in condanne, divieti e penalizzazioni dei veicoli circolanti, che nel discusso ciclo EUDC rivelano elevata produzione di CO2. E, viceversa, a sponsorizzare quei modelli, nuovi e risparmiosi, che con vari artifici “mimetizzano” i consumi reali. Insomma, con la scusa dell’ecologia si vuole rinnovare un’altra volta il parco circolante.
Le Case non attendevano altro che la spinta dei verdi per immettere sul mercato le ibride costose, le elettriche costosissime o le trasformazioni a gas. Niente di più classista e demagogicamente inutile per lo smog delle città.

Enrico De Vita

Inchiesta pubblicata su Auto 04/2013



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