Porsche 918 Spyder, tutti i segreti, Auto.it l'ha vista in fabbrica

Porsche 918 Spyder, tutti i segreti, Auto.it l'ha vista in fabbrica
L'unica testimonianza dello sviluppo

di Redazione

19.08.2013 ( Aggiornata il 19.08.2013 09:40 )

Zuffenhausen, Germania, una città ove perfino la polizia urbana gira con le Cayenne. Una grande rotonda ricoperta d’erba, da un lato l’avveniristico edificio del museo Porsche, dall’altro la vecchia fabbrica ove negli anni Cinquanta veniva costruita la “356”. In mezzo, uno stabilimento di tre piani. Michael Drolshagen, ingegnere, responsabile della produzione della “918 Spyder”, ci accompagna lungo le scale che salgono al terzo: un grande salone di 4000 m2, pavimento grigio perla, pulito come quello di una clinica, isole di lavoro attrezzate come una sala operatoria, computer e display dappertutto. Qui nasce la “918”. E noi di Auto abbiamo avuto il privilegio esclusivo di veder venire alla luce i primi esemplari. Un team di sole 80 persone gestisce – lungo 10 stazioni — tutte le fasi della produzione, dalla costruzione del motore alla lavorazione della selleria, dall’assemblaggio della scocca in fibra di carbonio alla messa a punto finale. Cento ore di lavoro per esemplare, quattro esemplari al giorno, un turno di lavoro. Quando, fra poco più di un anno (nel febbraio 2015), verranno raggiunti 918 esemplari, la “sala chirurgica” verrà smontata. Tutti pezzi unici È indubbiamente la vettura più difficile e complessa mai costruita. Osservarla nuda,per il groviglio di cavi, tubi, connessioni, centraline. Il tutto stipato dentro e attorno a una nera scultura di carbonio. Pensate che al suo interno lavorano 56 motorini elettrici che fungono da servomeccanismi. E ancor più numerosi sono le CPU, i microprocessori che gestiscono i comandi, che elaborano i segnali dei sensori, che aprono e chiudono gli spoiler, gli alettoni, le prese d’aria. E gestiscono motore e trasmissione. Tuttavia la “918” non viene prodotta in serie, come in una fabbrica normale, ma in un sofisticato atelier che realizza pezzi unici, anche perché ogni esemplare è diverso dagli altri: sono più di 200 le variabili che i fortunati clienti dovranno scegliere alla firma del contratto. Si va dalle finiture interne agli abbinamenti di carrozzeria, dal peso totale ai sedili. Con un supplemento di 65.000 euro si può avere la versione alleggerita che pesa 40 kg in meno (si chiama Weissach Package), come dire che ogni chilo risparmiato costa oltre 1.600 euro. Ma l’esagerazione si spiega facilmente quando pensiamo che per quella operazione viti e bulloni d’acciaio lasciano il posto al titanio. I motori vengono montati da quattro “chirurghi meccanici”. Quattro propulsori al giorno, ognuno seguito da un solo uomo, che aggiunge pezzo per pezzo, dall’inizio alla fine. Firmandolo. I pistoni, le valvole, l’albero motore giungono in postazione, racchiusi come gioielli, in contenitori a prova di polvere e di ammaccature. Ogni tecnico ha di fronte a sé uno schermo che gli indica, con disegni animati, l’operazione che deve compiere, fase per fase. Se usa attrezzi per serrare dadi, misurare giochi o registrare angoli, il display gli dà un segnale nel momento in cui viene raggiunto il valore corretto. Ma per non rompere il silenzio e disturbare gli altri tecnici, il benestare non è il suono di un cicalino, ma un grande “OK” verde sul suo computer. Sartoria su misura Gli 80 protagonisti della “918 Spyder” sono indubbiamente i migliori tecnici della Porsche. Nelle loro manovre si vede l’esperienza di chi è cresciuto nel mito dell’automobile. Il loro capo, Michael Drolshagen, è il primo a stimarli e a stupirci con un gesto: quando entra nelle varie stazioni per illustrare le fasi di montaggio, per prima cosa va a stringere loro la mano. Nei loro occhi si legge l’orgoglio di lavorare in quella “sartoria”. C’è chi cuce a mano il rivestimento in cuoio sulla aletta parasole, chi ricopre la plancia modellando a caldo una pelle finissima, chi compone l’interno della portiera (interamente in fibra di carbonio) con inserti in pelle, modanature colorate, sagomature cromate o in titanio. Il risultato è una vera opera d’arte moderna. Pensate che anche queste sagome sono solo in apparenza di metallo: in realtà sono costituite da un manufatto di fibra di carbonio immerso in tre bagni galvanici per ottenere una superficie metallizzata, con la finitura desiderata. Mostro di potenza Sono 887 i cavalli che spingono la “918 Spyder”, 608 di questi provengono del V8 posteriore, a benzina, mentre i restanti 286 sono suddivisi fra i due motori elettrici: uno, posteriore, in serie col propulsore a benzina (montato fra frizione e cambio), l’altro sull’assale anteriore. Quello davanti spinge fino ai 220 km/h, poi si stacca da solo perché è collegato in diretta, senza riduzione, mentre avrebbe bisogno di un cambio per salire oltre. La “918” è quindi una trazione integrale e si può guidare in varie combinazioni. C’è perfino la combinazione “hot lap” (giro tirato), che scarica oltre 600 ampere di corrente nelle spire degli elettromotori. La velocità massima dichiarata è superiore ai 340 km/h, mentre l’accelerazione 0-100 km/h, grazie a pneumatici speciali a mescola morbida, è addirittura inferiore ai 3 secondi. Un mostro. Ma, Drolshagen assicura: “È docile come un’utilitaria, anche se è pensata per battere il record del giro sul circuito stradale del Nürburgring”. Ed ha ragione, perché grazie al sistema ibrido si può modulare a piacere la potenza, e si può anche marciare in solo elettrico per una quarantina di km. Ovviamente la frenata è per circa la metà gestita dai motori elettrici per il recupero dell’energia. Il pacco batterie, agli ioni di soli 6,8 kWh, come dire 49 wattora al chilo. È il valore più basso fra le “elettriche” in vendita, ma ha un significato ben preciso: se i tecnici Porsche hanno deciso di sfruttare così poco la batteria vuol dire molta acqua deve ancora passare sotto i ponti... Doppia scocca in carbonio La carrozzeria rappresenta un capitolo a sé. È tutta in fibra di carbonio, come una F.1, ma è formata da due grandi scatole. La prima è costituita dalla cellula abitacolo, conformata con scatolati sottili di carbonio, dentro i quali sono annegati inserti pressofusi di alluminio, ai quali vengono avvitati bracci delle sospensioni, sterzo e supporti vari. L’abitacolo termina con una parete verticale alla quale viene avvitata (con soli quattro bulloni) la cella posteriore, che porta tutta la meccanica, il pacco batterie e le sospensioni posteriori. Questa seconda cella, anch’essa in carbonio, non ha parti scatolate, ma è un’unica struttura vuota la cui parete presenta uno spessore stupefacente: sfiora i due centimetri. La fibra di carbonio è molto rigida, si rompe ma non si deforma. Quindi non assorbe energia in caso di urto. Pur non essendo indispensabile sottoporre la ”918” alle prove di crash (vista la limitata produzione in programma), i tecnici Porsche hanno voluto dotare la vettura delle stesse caratteristiche della produzione di serie. Per questo, davanti e dietro sono stati inseriti due grandi parallelepipedi di alluminio, sagomati in modo da assorbire gran quantità di energia in caso di deformazione. Le ruote dietro sterzano da sole Ma le soluzioni innovative non sono finite. La più interessante era stata da noi anticipata su queste pagine ben 8 anni fa. Ed ora è realtà. Si tratta di un nuovo sistema per controllare il comportamento dinamico della vettura. Il tradizionale Esp evita la sbandata ricorrendo alla frenatura di una o più ruote, alternativamente. Ma così facendo sottrae energia e rallenta la marcia. La “soluzione totale”, adottata sulla “918”, prevede invece la sterzatura delle ruote posteriori per correggere ogni movimento indesiderato del corpo vettura. In tal modo si può ridurre il raggio di sterzata (sterzando in controfase nelle manovre a bassa velocità) oppure compiere sorpassi ad alta velocità traslando lateralmente la vettura (sterzando in fase, cioè nello stesso senso delle ruote anteriori) o impedendo rotazioni in imbardata, cioè sbandate, centellinando le derive dei pneumatici posteriori. Il tutto è ovviamente gestito in automatico da sensori e relative centraline. Il cuore del sistema è uno dei bracci superiori delle due sospensioni posteriori, che è allungabile, grazie a un servomotore elettrico, che aziona una vite senza fine e provvede a modificare la lunghezza del braccio. E quindi a sterzare la ruota posteriore. Cristallo di Boemia Fra le altre novità costosissime e uniche: la consolle centrale che è un unico grande touch screen a superficie curva. Sfiorandolo appaiono i comandi di tutto ciò che comfort, informazione, divertimento, musica, telefono, radio, climatizzazione, archivio file e connessioni. Altro pezzo da gioielleria è il fanale anteriore: un gruppo a Led, cesellato come un cristallo di Boemia, dotato di micromotori per orientare il fascio di luce e racchiuso in uno scrigno di policarbonato come un pezzo d’arte moderna. Rigorosamente da non rompere: un mutuo per ricomprarlo. “Non l’abbiamo fatta per guadagnare, ma solo per la nostra immagine” – dice Drolshagen di fronte alla nostra osservazione: “Ma così diventa straordinariamente costosa...”. E nei suoi occhi brilla l’orgoglio di lavorare per la “918 Spyder”. Del resto è nato qui, a Zuffenhausen, si è laureato qui e ha sempre respirato auto sportive. Probabilmente, nel sangue ha un DNA targato Porsche. La visita è finita, la prima “918” terminata, pronta a rombare. Ma nella “clinica” non si usa benzina e non viene messa in moto. Parte lentamente in tutto elettrico, nel silenzio, entra nell’ascensore e scende al pian terreno. Il collaudo in pista sta per cominciare. Enrico De Vita

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