Codice della Strada: ogni Governo promette, ma ....

Codice della Strada: ogni Governo promette, ma ....
Ogni esecutivo, ogni Parlamento, ogni ministro delle Infrastrutture vuole lasciare una propria traccia nelle leggi che regolano la circolazione dei veicoli. Motivazioni ufficiali: migliorare la sicurezza, razionalizzare gli investimenti, sviluppare il territorio. Ma è davvero così?

di Redazione

20.02.2014 ( Aggiornata il 20.02.2014 16:04 )

La più gettonata delle tracce inutili lasciate in eredità ai posteri è certamente quella voluta dal ministro Mancini, nel febbraio del 1992. Fece riempire il Paese di segnali stradali con la scritta “In caso di nebbia”. Al centro del disco bianco c’era il numero 50. Era il segnale di prescrizione che indicava la velocità massima, in caso di nebbia. Sono 22 anni che ci appaiono un po’ dappertutto, creando qualche imbarazzo, alimentando l’atroce dubbio: ma se c’è nebbia come faccio a leggere il cartello? Non credo che siano serviti a qualcosa se non a far inchiodare legioni di turisti tedeschi, prima di aver completato la traduzione. Si racconta che i funzionari del ministero dell’Interno chiesero a Mancini dove posizionare i cartelli: Metteteli in tutti i tratti dove sono avvenuti incidenti l’anno scorso – disse il ministro – dobbiamo dare un segnale forte. Se per “forte” intendeva un cartello che dopo tanti anni non si è ancora arrugginito, aveva ragione. Alcuni maligni, però, sostengono che si riferisse alla ingente spesa sostenuta. Non c’è articolo di codice che non venga candidato a subire modifiche. E non c’è modifica che non susciti appetiti delle lobby interessate a favorire qualcuno o qualcosa: dalla scatola nera, al segnale mobile polifunzionale, dai catarifrangenti alle vernici per il manto stradale, dalle compagnie di assicurazione al Pubblico registro automobilistico, dai venditori di strumenti per il controllo delle infrazioni alle ditte che si incaricano di compilare e spedire i verbali. Il Portale per consigli via web L’anno appena trascorso non fa eccezione. Sia il Parlamento sia il Governo si sono impegnati a suggerire soluzioni per ridurre frodi e costi della RCAuto, a proporre per l’ennesima volta la eliminazione del PRA, a offrire a tutti l’opportunità di scrivere le regole del Codice. E perfino a sfruttare il decreto “salva Roma” per imporre lampade a Led nei semafori: ufficialmente per il risparmio energetico, in realtà per rendere uniforme il funzionamento delle varie macchinette che immortalano la targa di chi attraversa l’incrocio “quando T-Red ha detto stop”. E – ovviamente - per far vincere ai Comuni i ricorsi degli automobilisti sul “tempo di latenza” dei semafori. La più condivisibile delle proposte è l’iniziativa di aprire al pubblico la riforma del Codice. Ognuno può inviare suggerimenti al Portale dell’Automobilista, un sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che fornisce anche indicazioni sui punti patente e sui dati legati all’auto in possesso. Il progetto del nuovo Codice prevede di limitare a 80 il numero degli articoli, contro i 245 attuali. Insomma, si vorrebbe imitare il codice inglese, sintetico, pragmatico, destinato solo agli utenti (e non ai fabbricanti di risciò a pedali, come fa il nostro codice), 29 pagine in tutto. Encomiabile. Così come è lodevole il percorso di riforma, già avviato presso la Camera dei deputati, che mette la sicurezza stradale al centro del procedimento, con nuove tutele per le fasce più deboli e pene più severe per chi compie infrazioni con danni a cose e a persone. Ma noi abbiamo qualche dubbio. Per esempio, il codice inglese regala la patente fino a 65 anni di età, senza richiedere alcun rinnovo, esame medico o tassa. Rischio? No, i medici di famiglia hanno l’obbligo di segnalare al DOT (Department of Transport) ogni malattia, decadimento della vista, dell’udito, della manualità, che possa influire sull’idoneità alla guida. Sarà poi il dipartimento a sottoporre a visita medica il cittadino e a richiedergli certe cautele o a imporgli certi limiti. “Noi non facciamo la spia” Tentarono anche da noi, due anni fa, una cosa del genere. Rivoluzione, i medici di famiglia si sono opposti (non tutti per fortuna), sentenziando: “Non facciamo la spia sui nostri assistiti”. Risultato: per rinnovare (periodicamente, come prima, più di prima) la patente, oggi è necessario farsi fare – a pagamento – un certificato anamnestico dal proprio medico di famiglia e poi fare una seconda visita medica – a pagamento — da un medico Asl per l’esame della vista e dell’udito. Ma i medici di famiglia non sono forse pagati dal servizio sanitario nazionale? Il quale non dovrebbe mettere al primo posto il bene della collettività? E l’eventuale segnalazione di malattie invalidanti non va forse nella direzione di evitare pericoli per la sicurezza di tutti, compresa quella dell’assistito? Morale: finché tutti non faremo un passo indietro, non se ne esce. Poi c’è il tentativo velleitario di ridurre i costi della RC Auto. Ufficialmente con regole destinate a ridurre le frodi, gli indennizzi gonfiati, il costo delle riparazioni. In pratica, siamo fermi al palo. Scatola nera (o rosa): se ne parla da tanti anni ed ha numerosi sponsor presso le Istituzioni. Dubitiamo che possa risolvere i problemi: se non la monteranno tutti, le prove che fornirà saranno inconfutabili solo nei confronti di chi ha accettato di montarla. Il suo piccolo torto (andava a 55 all’ora in città) varrà molto di più di quello del folle che gli ha attraversato la strada, ma era privo di scatola nera. Le compagnie sono state obbligate dal Governo a fare uno sconto a chi accetta la scatola, ma vogliono recuperarlo, assieme ai costi d’istallazione. Morale: lo faranno aumentando le polizze di tutti gli altri, specie dei virtuosi che non fanno incidenti. E che sono la maggioranza. Qualche associazione di consumatori ha parlato a sproposito di costi mensili di gestione della scatola nera, che invece riguardano solo gli antifurto satellitari: la scatola nera è un semplice registratore statico collegato solo con la vettura e non con l’esterno. Tutti un passo indietro Le compagnie vogliono ridurre i risarcimenti, ovvero i costi delle riparazioni e dei danni fisici: sono disposte a fare sconti a chi accetta di riparare la vettura presso un carrozziere convenzionato o di farsi assistere dai loro medici. Ma i carrozzieri indipendenti non ci stanno: si sentono esclusi e malignano sulla qualità delle riparazioni effettuate dai colleghi. Però non accettano di riconoscere che il problema dei preventivi gonfiati lo hanno creato alcuni di loro. Quelli convenzionati paventano lo strozzinaggio dei prezzi imposti dalle compagnie e non ammettono che la loro “vicinanza” con periti e liquidatori è alla base del loro ciascuno non farà un passo indietro. L’ANIA, potente associazione delle imprese di assicurazione, tenta di riscattarsi dalle accuse del passato di godere di forti appoggi in Parlamento: promuove iniziative per la sicurezza stradale, sponsorizza tavole rotonde e convegni con associazioni dei consumatori, fornisce finalmente i data base per la compilazione del registro degli assicurati. Senza il quale, il controllo di chi è in regola – compagnie e assicurati – non può essere efficacemente operato con strumenti elettronici. Ma, al di là dei buoni propositi rimangono due palle al piede per l’ANIA: 1) le compagnie non sono capaci di premiare gli automobilisti virtuosi perché dovrebbero selezionare e penalizzare quelli imprudenti, quelli che frodano e quelli che gonfiano i preventivi: 2) le compagnie non hanno interesse a far pulizia al loro interno, con periti e liquidatori “allegri”. Per ultimo, non facciamoci illusioni. Ogni vero miglioramento del settore RC Auto si traduce, alla fine, in riduzione del fatturato delle compagnie e nessuna società vede di buon occhio sgonfiarsi il suo fatturato. Riprova: la crisi economica ha portato l’indice di sinistrosità nazionale (cioè il numero dei sinistri denunciati da 100 assicurati) da 8,5 di 3 anni fa a circa 6,0 attuali. Una riduzione del 30%, significativa, per non dire gigantesca. E le tariffe? Di fatto, sono rimaste immutate. Patto di riservato dominio Così non dobbiamo farci soverchie illusioni sulla fine che faranno le varie proposte per riunificare le funzioni del PRA con quelle della Motorizzazione. Se ne parla da 20 anni: l’Aci è troppo appoggiata in Parlamento per accettare un ridimensionamento del più inutile dei suoi enti. Il Pubblico registro automobilistico nacque nel 1927 per tutelare il diritto della Fiat di tornare in possesso delle Balilla vendute a rate e non saldate (si chiama “patto di riservato dominio”), ma oggi nessuno più accende ipoteche sulle auto: c’è il leasing, l’auto rimane intestata alla società finanziaria, non serve l’ipoteca, né il patto di riservato dominio. Ciononostante il PRA con i suoi 1500 dipendenti sopravvive. Anzi si candida a gestire il registro degli assicurati e altre mansioni che il Parlamento vorrà affidargli. Oggi basta un computer per contenere tutto, a costi zero, in tempo reale, senza errori. Certo la Motorizzazione non si è distinta molto per trasparenza ed efficienza: patenti facili, esami truccati, esaminatori coinvolti, funzionari malpagati chiamati a esercitare poteri pruriginosi, corruzione… Cosa vorremmo nel Codice? Basta con le rotonde inventate solo per prendere soldi a prestito dalla Ue, basta con infrastrutture stradali differenti a seconda dei Comuni, basta con i finti investimenti per la sicurezza stradale, con le trappole per far cassa, con i Tutor disseminati senza rispettare le regole e per far guadagnare gli amici degli amici. Vorremmo che il Codice prevedesse la condanna dei Comuni che considerano la strada come un bancomat a costo zero, che il premio annuale col quale vengono compensati i comandanti dei vigili fosse attribuito solo a chi riesce a far calare il numero degli incidenti e non a chi raccoglie multe nella quantità promessa al sindaco. Ma tutto questo non lo scriveranno mai. Enrico De Vita

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