Cambio automatico, 8, 9, 10 marce .. cosa c'è sotto?

Cambio automatico, 8, 9, 10 marce .. cosa c'è sotto?
La Ford T del 1908, aveva 2 rapporti, ora c'è l'escalation, ma i guidatori non ne sentivano il bisogno: esigenza tecnica, moda corsaiola o altro?

di Redazione

14.08.2014 ( Aggiornata il 14.08.2014 04:15 )

Cambio automatico, 8, 9, 10 marce .. cosa c'è sotto? La Ford T del 1908 aveva due marce avanti, più la retromarcia. O meglio, aveva una presa diretta e una marcia ridotta. Quest’ultima veniva ottenuta allentando una cinghia che serrava un gruppo di ingranaggi epicicloidali. Quindi, non c’era un vero innesto di denti, ma solo la tensione o l’allentamento di una cinghia di cuoio, che evitava anche l’uso della frizione. Il serraggio di una seconda cinghia provocava la rotazione in senso inverso, cioè la retromarcia. Nacquero poi i cambi a ingranaggi scorrevoli, prima con denti diritti (che si innestavano tra loro con grande fragore e distruzione delle cuspidi) e, successivamente, a denti inclinati sempre in presa (dentatura elicoidale), molto più silenziosi e robusti, che tuttavia avevano bisogno di un sistema interno di collegamento dal momento che non potevano essere innestati frontalmente. Su questo sistema interno la Porsche lavorò per inventare e brevettare il sincronizzatore, vale a dire l’innesto conico (all’interno di ogni ingranaggio) che trasmette dolcemente e progressivamente il moto da un albero all’altro, purché la frizione sia disinnestata.
Ford T 1908 cambio 2 marce

Balilla “4 marce”

Fino agli anni Trenta i cambi nascevano con tre marce. Quando venne lanciata nel 1932, la Balilla aveva 3 marce, e quando nel marzo 1934, al Salone dell’Auto di Milano, la Fiat introdusse la versione Balilla “4 marce” fu un avvenimento. Tuttavia, solo terza e quarta erano sincronizzate. Anche i macchinoni americani a otto cilindri avevano tre marce, ma disponevano di cambio automatico con convertitore di coppia, che nelle riprese a bassa velocità funzionava come una ridotta a innesto rapido. Infatti, il convertitore idraulico è in pratica una riduzione supplementare che si inserisce automaticamente ogni volta che si scende a bassi regimi e che incrementa del 60-70% la coppia trasmessa. Funziona come una vite senza fine nella quale gli ingranaggi sono rappresentati dal moto vorticoso del flusso di olio, spinto in rotazione dalle pale interne dei due piatti del convertitore e dalle pale a elica dello statore. Per cinquant’anni ha dominato in esclusiva il cambio a 4 marce. Fanno eccezione alcuni modelli sportivi inglesi, come la MG “B” e la Austin Healey 100, dotati di overdrive, che portava a 6 il numero delle marce. L’overdrive era un gruppo epicicloidale simile al cambio della Ford T, che era posizionato a valle del cambio normale e consentiva di allungare il rapporto della terza e della quarta marcia. Si manovrava con un pulsante elettrico, che comandava il solenoide di apertura della banda e liberava il rapporto più lungo. Poi negli anni Ottanta è dilagata la quinta marcia, seguita nel Duemila dalla sesta. Oggi siamo giunti a sette marce sul doppia frizione PDK di tutte le Porsche e anche sul DSG della Volkswagen. Ma Audi, Bentley, BMW, Jaguar, Land Rover, Lancia, Maserati e VW vanno oltre e utilizzano sui loro modelli top il cambio automatico ZF a 8 marce. Quasi fossero in competizione, Range Rover Evoque e Jeep Cherokee rispondono a stretto giro di posta, adottando una trasmissione automatica a 9 rapporti. Seguite a ruota da Mercedes che ha appena lanciato il 9G-Tronic sulla rinnovata CLS. Infine, è di questi giorni l’annuncio record: Volkswagen ha in cantiere un cambio DSG a 10 rapporti.

Domanda primordiale

Quali sono – strategie di marketing a parte – i motivi che spingono i tecnici a rincorrersi e a superarsi nel numero delle marce? Per comprenderle dobbiamo tornare alla domanda primordiale: a cosa serve un cambio? Serve a far giungere alle ruote una coppia uguale a quella resistente, cioè alla coppia necessaria a far avanzare il veicolo a quella velocità, su quella pendenza. Se i motori fossero elettrici a corrente continua, la coppia massima si avrebbe a zero giri, cioè da fermi (e questo spiega il grande spunto in partenza dei veicoli elettrici), ma il motore termico è diverso: ha una coppia nulla a zero giri, poi una coppia appena sufficiente a mantenerlo in rotazione quando gira al minimo, quindi esercita la sua coppia massima a un regime fra i 2 e i 4000 giri/min. E infine, ha il regime di potenza massima oltre il quale non si deve andare perché la coppia crolla improvvisamente. Se il veicolo incontra una salita e il motore dispone di una coppia limitata, come un ciclista che non ha forza sufficiente sulle gambe, il guidatore deve poter aumentare la velocità di rotazione del motore (sviluppando maggior potenza), ma riducendo la velocità alle ruote: in altre parole deve aumentare il rapporto di trasmissione passando a una marcia inferiore. Se non lo fa e si limita a tenere pigiato l’acceleratore la coppia calerà ulteriormente. Infatti i motori termici hanno il grave inconveniente di avere una scarsa elasticità, ove per elasticità si intende la posizione della coppia massima rispetto al regime di potenza massima. I motori spinti hanno la coppia max molto in alto e sono poco elastici. Quelli tranquilli hanno invece buona coppia a basso regime. L’elasticità è il primo fattore che influenza il numero delle marce. Se il motore è molto elastico, si accontenta di poche marce. Se è sportivo, deve averne tante. Quante? Il calcolo iniziale si fa immaginando di viaggiare in pianura fino alla velocità massima che la potenza del motore può esprimere: vale a dire che il rapporto della marcia più lunga deve essere tale da far raggiungere il regime di potenza massima a quella velocità. Nella pratica questo calcolo contiene già un errore perché così facendo, appena si incontra una piccola discesa il motore va fuori giri e rischia di rovinarsi. Pertanto, il calcolo (del rapporto della marcia più lunga) viene corretto immaginando di far raggiungere la velocità max su una strada in leggera pendenza (2 o 3%).
Jeep Cherokee cambio 9 marce

Gara in salita

Come si sceglie il rapporto delle altre marce? Semplice, si fa in modo di ottenere i migliori tempi di accelerazione con l’uso del cambio. Il che significa far lavorare il motore costantemente fra il regime di coppia max e quello di potenza max. Che si traduce in una formula: quando il motore raggiunge la potenza max in una certa marcia, quella successiva deve ricominciare dal regime di coppia max. Ponendo queste condizioni in un diagramma, si ottiene la progressione e il numero delle marce. Normalmente, per i motori a benzina classici, la progressione è geometrica e il numero delle marce è 4. A titolo di esempio, con potenza max a 6000 giri e coppia max a 4000, la velocità max in prima sarà di 45 km/h, in seconda di 71, in terza di 109 e in quarta di 170. Ma questo calcolo è un compromesso per tutti i giorni e tutte le pendenze. Se invece parliamo di uso competitivo, i rapporti devono essere ottimizzati in funzione delle velocità che si raggiungeranno nei vari tratti del circuito e delle pendenze della strada. Si parla allora di rapporti alti ravvicinati e marce basse diradate e molto lunghe (adoperate solo alla partenza). In altre parole, prima e seconda lunghe, rapporti intermedi ravvicinati e marcia più alta calcolata per ottenere la velocità max in relazione alla pendenza della salita. l

La strana coppia di Bruxelles

Tutti questi ragionamenti sono passati in secondo piano dopo il Duemila, con lo strapotere assunto da Bruxelles e dalle sue direttive sulla CO2 e sui consumi. L’impiego dell’elettronica e dell’iniezione ha consentito di ridurre l’importanza del regime di coppia massima. Oggi sia i diesel sia i benzina possono viaggiare a 1200 giri “full throttle”, con acceleratore a fondo. Quindi, accanto alla curva di massima potenza percorsa con l’uso del cambio, valida principalmente per ottenere le massime accelerazioni nelle prove su strada delle riviste, è nata l’esigenza di ricavare una seconda curva dedicata a ottenere i minimi consumi nel ciclo di misura. Entrambe queste curve richiedono la ottimizzazione del numero e dei rapporti delle marce. Ad esempio, poiché 120 km/h è la velocità max che va raggiunta nel ciclo di misura EUDC, si fa in modo di ottenere questa velocità nella marcia più alta e al regime che garantisce i minori consumi. E questo spiega – anche se non giustifica – l’assurda quinta (o sesta) marcia lunghissima che caratterizza certi modelli. Così lunga che in città è meglio scordarsela. Non solo, ma la gigantesca coppia massima che sviluppano certi diesel, consente di viaggiare a 120 km/h con regimi attorno - se non inferiori - a 2000 giri/min e con un filo di gas. Ora, i diesel hanno regimi di rotazione minimi attorno ai 900 giri (per questione di pressione d’iniezione del common rail): se la marcia più alta fa 120 all’ora a 2000 giri, è ovvio che a 900 giri/min ne farà 54. Il che significa che se viaggiamo in città al di sotto dei 60 all’ora rischiamo il blocco del motore ad ogni rallentamento. Infatti, nelle centraline c’è un sensore che spegne di colpo il motore quando avverte che la velocità di rotazione è inferiore a un certo regime. Si tratta di una misura di sicurezza che interviene a interrompere il flusso di gasolio in caso di incidente (e conseguente rallentamento forzato del regime del motore).

Al primo posto

Il ciclo europeo di misura dei consumi obbliga a percorrere tre accelerazioni nelle tre marce inferiori, fino alla velocità massima di 50 all’ora, poi una puntata a 90 e infine quella autostradale a 120. Le alchimie – o se volete, i trucchi — cui ricorrono le Case per rendere minimi i valori di consumo riempiono ormai un elenco di molte pagine. Fra essi il numero dei rapporti al cambio e la loro scelta numerica sono al primo posto. È chiaro che se si disponesse di un cambio a infiniti rapporti, vale a dire di un cambio continuo come le Case coreane e giapponesi prediligono da qualche anno, l’elettronica imporrebbe al motore di girare sempre all’unico regime che garantisce i consumi più bassi in assoluto. E modificherebbe il rapporto di trasmissione alle varie velocità in modo da tener costante la rotazione. Con un cambio a rapporti fissi questo non è possibile: l’unica alternativa è aumentare il numero dei rapporti. Dal momento che le vetture più pesanti (Suv) e quelle più potenti sono penalizzate in partenza nel soddisfare le direttive europee, ecco che i cambi automatici e i cambi robotizzati si arricchiscono di una serie sempre più numerosa di rapporti, fino ad assomigliare a un cambio continuo. Il controllo elettronico e l’inserimento automatico delle marce consentono di sfruttare i regimi più opportuni che i microchip hanno imparato a memoria dai tecnici. Anzi, le centraline riconoscono immediatamente quando il motore sta eseguendo un ciclo di misura e si predispongono in pochi istanti a tagliare potenza e coppia per privilegiare consumi e CO2. Nella vita pratica, su strada, questa serie elevata di rapporti non penalizza la guida e non viene neppure avvertita dal conducente dal momento che – dopo aver inserito il Drive - si dimentica di scegliere la marcia: è una manovra automatica affidata esclusivamente alle decisioni della centralina. E che non viene neppure percepita grazie alle doppie frizioni e alla perfetta sincronia che l’elettronica consente. Anche se, per marketing d’avanguardia, o forse per pudore, si scrive ancora che il guidatore può sempre divertirsi a smanettare con i paddles e a cambiare marcia, come un pilota di Formula 1.   Enrico De Vita

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