Roma, le piste ciclabili della discordia

Roma, le piste ciclabili della discordia

Solo 30 km realizzati, in un anno, sui 150 previsti dal piano, ma non sono mancate polemiche e criticità dell'opera. Ecco perché un'infrastruttra non può funzionare quando non è integrata con il tessuto cittadino

di Pasquale Di Santillo

22.04.2021 15:29

Bisogna essere onesti: realizzare qualcosa a Roma, come in tutte le grandi città del mondo, non è facile per nessuno. Realizzarle male, però non è ammissibile. anche in tempi difficili come gli attuali. Soprattutto se si decide per ideologie, per convizioni magari giuste (ognuno ha le sue), sicuramente legittime, ma non supportate da una pianificazione preventiva e senza pensare alle conseguenze delle decisioni che si prendono.

Arricchire la Città Eterna con 150 chilometri di piste ciclabili è e rimane sicuramente un obiettivo nobile e, aggiungiamo, doveroso per un sindaco o per un amministratore della cosa pubblica. E quando la prima cittadina di Roma, Virginia Raggi, a maggio 2020 annunciò l’ambizioso piano che prevedeva quel tipo di infrastrutture con una spesa di 3,8 miliardi, rimanemmo un po’ stupiti, sia per la complessità, decisamente ambiziosa del piano, ma soprattutto per come si intendeva procedere nella realizzazione. 

Piano non ancora realizzato

Ora, è vero che per costruire Roma non c’è voluto un giorno ma trovarci a quasi un anno dall’annuncio con il completamento di appena 30 km, cioè solo un quinto del famoso piano, dà la dimensione di quanto fosse complicato l’impegno preso dalla Sindaca. Ma quello che è peggio, ahinoi, sono state le polemiche scatenate solo da questi primi interventi. Un coro, intonato, di critiche anche feroci sono infatti arrivate un po’ da tutti i quadranti toccati dagli interventi, diciamo la verità, un po’ maldestri e slegati da tutto il resto della mobilità cittadina. Nomentana, Tuscolana, Lungotevere, Via Gregorio VII, Ostia, persino Villa Ada: dove c’è una ciclabile, c’è una protesta.

Ciclabili fatte male, l'effetto è il caos

Insomma, un fallimento su tutta la linea. Perchè come si accennava prima, il problema non è fare le ciclabili che siano transitorie (come queste) o meno. Chi scrive, è un ciclista, amatoriale, ma ciclista. Quindi servono ciclabili fatte bene e soprattutto integrate nel tessuto cittadino, peraltro già particolarmente devastato da incuria, sporcizia, immondizia, trasporti pubblici carenti e una cultura del traffico e dei parcheggi praticamente inesistente.

Perchè realizzare le piste ciclabili a discapito dell’ampiezza delle corsie, di fatto dimezzate, poteva e potrà avere un solo, inevitabile effetto. Quello cioè che sta avendo: un’amplificazione del problema traffico, peraltro ancora ridotto dall’attuale situazione pandemica, che al netto della colorazione della zona di città e regione, di certo non esprime il suo massimo impatto. E cosa genera un traffico esasperato in questa maniera? Semplice, allungando il tempo di permanenza dei motori accesi e della percorrenza delle strade, un’aumento incontrollato delle emissioni di CO2, NOx e polveri sottili, quindi un ulteriore danno all’ambiente e all’aria che respiriamo. Senza dimenticare l’aspetto sicurezza: perché il posizionamento delle ciclabili si presta ad una serie di notevoli rischi noi ciclisti, come gli appassionati dei monopattini, autentiche mine vaganti perchè non gestite né controllate.

Inversione di rotta sulla mobilità

Senza fare la morale a nessuno, è quasi ovvio sostenere che non si cambia la cultura della mobilità di una città con un’improvvisa inversione di rotta, per quanto corretta e giusta possa essere. Ma servono tanti piccoli interventi che tutti insieme, nel tempo necessario, - compresi, si intende i comportamenti dei cittadini - contribuiscano a migliorare la vivibilità della Capitale. 

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