L'opinione di Guido Meda: Più educazione alla guida, meno esami senza valore

L'opinione di Guido Meda: Più educazione alla guida, meno esami senza valore

Fare ai propri figli (minorenni) lezione avanzate in aree sicure insegna loro molto di più di quelle che servono per la patente

di Guido Meda

16.03.2023 15:04

Quello di saper guidare è un fatto sul quale batto volentieri perché - lo sapete già - penso che saper guidare sia più importante che saper circolare. Oppure che lo sia tanto quanto. Così, da papà, ho fatto qualcosa che somiglia tanto a una cazzata, ma che non credo lo sia. Insomma, lo stabilirete voi. Ho portato mio figlio Filippo, di sedici anni e mezzo, con me a fare una commissione al capannone privato di un mio amico alle porte di Milano. Io possiedo un’Alfa Stelvio Veloce, che è un bel macchinone, spazioso, generoso, sincero e con un bel telaio . Accade di sera. Per terra c’è un’acquettina viscida da primi di marzo e nell’aria ecco quella nebbietta così padana, proprio lei, quella che bagna il vetro complicando la faccenda e che d’inverno diventa il nebbione denso e complice nel quale i milanesi si nascondono e imparano, giocoforza, a guidare a naso.

Tra gioco e simulazione di giuda

Filippo ha la patente per il cinquantino e quella per il 125. Filippo con lo scooter è un precisetto affidabile e prudente, che quando circola sta alle regole, ha testa, ma anche cuore. “Vuoi guidare?” gli dico dopo aver chiuso il cancello. Ovviamente mi arriva in cambio un sì entusiasta e ci mancherebbe altro. Decidiamo il percorso sul piazzalone, stabilendo, tra i container, semafori, stop e sensi vietati immaginari. Così abituato ai videogames di simulazione, così avvezzo al rispetto delle regole stradali e così aiutato dal cambio automatico, dopo dieci minuti mio figlio va, si ferma, riparte, svolta. Va tutto bene insomma, nel senso di un’affidabilità trasmessa che è proprio rassicurante per essere la sua prima volta al volante. Gli dico che però così mi annoio, che proviamo a fare qualcosa in più.

A lezione

Ed ecco iniziare un’oretta di guida sportiva e dinamica; andando ad accelerare, a frenare e a curvare (abbastanza) forte; a esplorare il sottosterzo, il sovrasterzo e l’evitamento ostacolo. Lo facciamo in maniera progressiva e vedo che Filippo risponde, afferra, applica. Ci fermiamo, parliamo dell’esercizio e poi ripartiamo per eseguirlo tenendo alto il ritmo. Lui mi dice che sono un pazzo e forse ha pure ragione. Io gli dico che sarei un pazzo se abbandonassi un figlio al destino del volante con il solo assenso di un ispettore della motorizzazione dopo un giretto dell’isolato a venti all’ora fermandosi allo stop e dando la precedenza. E se nevica? E se piove e sbagli una curva? E se tieni male le mani sul volante e perdi il controllo? E se davanti a te frenano di colpo, e magari per terra è bagnato e devi frenare la macchina evitandoli?

Altri tempi

A diciott’anni i nostri figli guidatori entrano in una dimensione per la quale non sono preparati. Avviso Filippo che il tipo di guida di questa sera bizzarra non dovrà essere l’abitudine perché è quando ci si comincia a sentire troppo sicuri che si fanno i disastri. Ma ora, in previsione dei suoi diciott’anni sono più tranquillo e ripenso con gratitudine ai diciotto miei, a quando mio padre, esagerando, mi fece vivere lo stesso addestramento sull’autostrada Serravalle, in discesa verso Genova, finita con una fiancata strisciata malamente sul muro. Ma erano altri tempi. Altri padri.

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