La Cina conquista il mercato europeo con elettriche low cost, tecnologia avanzata e risorse strategiche: i costruttori occidentali rischiano il sorpasso definitivo
22.05.2025 ( Aggiornata il 22.05.2025 15:58 )
Il futuro dell’automotive europeo si scrive in caratteri cinesi. È questo il messaggio che emerge con forza dall’analisi del centro studi Quintegia, che prevede un vero e proprio dominio cinese nel mercato auto europeo entro il 2028. In Italia, il 90% dei nuovi brand in arrivo sarà asiatico, con ben 27 case automobilistiche cinesi pronte a insediarsi nel nostro territorio. Una tendenza che si estende a macchia d’olio nei principali mercati dell’Unione Europea, dove il totale dei brand cinesi salirà a 43, superando di gran lunga l’attuale presenza dei costruttori europei emergenti.
Nel solo triennio 2021-2024, sono approdati in Italia 18 nuovi marchi cinesi, facendo passare la loro quota di mercato dallo 0,4% al 6%, un aumento del +1.350%. E non è finita. Entro la fine del 2028 si aggiungeranno altri 9 marchi. Numeri che fotografano una realtà sempre più concreta: la Cina non è più il futuro, è il presente del mondo auto.
Il principale artefice di questa rivoluzione è BYD, il colosso cinese dell’elettrico che ha superato Tesla in fatturato (oltre 107 miliardi di dollari contro 97,7 della casa americana) e ha registrato un balzo del +34% dell’utile netto nell’ultimo anno, attestandosi a 40,3 miliardi di yuan.
L’invasione cinese si manifesta anche nei numeri della distribuzione. Oggi in Italia si contano oltre 800 punti vendita di brand cinesi, più del doppio rispetto a Francia, Spagna e Germania. Tra i marchi più presenti:
MG (gruppo SAIC), oggi con il 3,5% del mercato italiano;
BYD, in rapida crescita con lo 0,9%;
DR Automobiles, con brand come Evo, Sportequipe, Ickx e Tiger;
Polestar e Lynk&Co (gruppo Geely);
Omoda e Jaecoo (Chery);
EMC (Eurasia Motor Company con Intergea);
Leapmotor, oggi alleata con Stellantis;
Dongfeng, uno dei più grandi costruttori statali cinesi.
Questa espansione trova terreno fertile nel nostro Paese. Secondo Quintegia, il 44% degli automobilisti italiani è pronto ad acquistare una vettura cinese, specialmente tra i più giovani, che non mostrano alcun pregiudizio verso la provenienza dei marchi. Inoltre, il 49% dei concessionari si dice interessato a introdurre brand cinesi nel proprio portafoglio.
I motivi sono chiari: i costruttori cinesi offrono tecnologie avanzate a prezzi più accessibili, spesso al di sotto dei modelli europei equivalenti. Una strategia che si sta rivelando vincente, specie nel segmento delle elettriche low cost, con citycar, crossover e SUV che combinano connettività, autonomia e design moderno.
Uno dei principali elementi di forza della Cina è il controllo sulle terre rare, fondamentali per la produzione di batterie e motori elettrici. Il Dragone rosso detiene la leadership mondiale sull’estrazione e la lavorazione di questi elementi, un vantaggio strategico che rende quasi impossibile competere a parità di condizioni. Mentre l’Europa fatica a costruire una filiera autonoma, Pechino ha consolidato un sistema produttivo completo, dalla miniera alla fabbrica.
Questo si traduce in un abbattimento dei costi di produzione, che consente alle aziende cinesi di vendere veicoli elettrici a prezzi molto competitivi, mantenendo comunque ampi margini di profitto.
Un altro fattore che ha spianato la strada al successo cinese è rappresentato dalle normative ambientali europee, che hanno imposto obiettivi stringenti di decarbonizzazione. In un contesto dove l’auto elettrica è diventata l’unica via percorribile per molti costruttori, i marchi cinesi si sono presentati con soluzioni pronte, tecnologicamente mature e a basso costo. Al contrario, i produttori storici europei – spesso legati a motori termici e filiere più complesse – hanno dovuto inseguire.
In questo scenario, le case europee rischiano di essere schiacciate tra regolamenti troppo severi e concorrenza sleale. E non è un caso che Bruxelles abbia recentemente aperto un’indagine sui sussidi statali cinesi per verificare eventuali violazioni delle regole di mercato.
La domanda che si pongono analisti, costruttori e istituzioni è semplice: l’Europa può ancora fermare questa avanzata? La risposta è complessa. Servirebbero:
investimenti massicci nella filiera delle batterie e nelle infrastrutture di ricarica;
politiche industriali chiare e di lungo periodo;
protezioni intelligenti contro le pratiche commerciali aggressive, senza però chiudersi al libero mercato.
Senza una reazione sistemica, il rischio è quello di assistere, entro pochi anni, alla perdita del controllo industriale sul comparto auto, uno dei settori chiave dell’economia europea.
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