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Giulia Marrone
21 lug 2025
Stile e provocazione lo precedono. Roberto Parodi, ingegnere, scrittore, giornalista e content creator, o lo si ama o lo si odia. Impossibile rimanere neutri e non prendere una posizione. La pronuncia della erre con un suono a metà tra la Francia, il Piemonte e la Germania; il sorriso sornione; l’atteggiamento strafottente, convivono con una capacità narrativa ad alto impatto, di pancia, romantica e signorile, che può appartenere solo a un fine osservatore dell’umanità.
Con una passione per i motori nel solco della tradizione e dell’avventura, da esploratore moderno alla ricerca dell’”auto totale” e che non può, in ogni caso, dimenticare le buone maniere e l’approccio da bon vivant. Fate attenzione, se dovesse capitarvi di incontrarlo in un raid in Marocco, potrebbe anche offrivi una coppa di Château Margaux, mentre si toglie un po’ di polvere dalla giacca con un cachecol di seta e ammira il fango sugli stivali perché la sua Range Rover si è inabissata in un tipico uadi.
Motori per passione?
«Sì, una passione che è nata grazie alla necessità di avere accesso alla libertà, come tutti quelli della mia generazione. Salivamo sul Cinquantino e approdavamo al 125 per assaporare la vita, dovevamo fisicamente spostarci per andare sotto il portone di casa della ragazzina che ci piaceva e citofonare, nella speranza di vederla. Oggi non capita più perché la mobilità non è così importante. Il telefono permette ai giovani di mettersi in contatto con chiunque. A un certo punto, dopo aver acquistato una Harley-Davidson negli anni ’90, ho fatto il salto in avanti e sono diventato un viaggiatore. Anche per demolire la convinzione che quelle motociclette americane non fossero adatte a esplorare luoghi diversi da città e aperitivi. Organizzammo un viaggio in Marocco verso l’Oasi di Merzuca dove era stato girato il film Marrakesh Express. Capimmo, non solo che si poteva fare, ma per me esplose una passione profonda».
Quando arrivano le quattro ruote?
«Con le auto ho due ricordi importanti. Innanzitutto quello di mio padre collezionista di auto d’epoca. Mi portava da piccolo su queste vetture e io ho avuto la fortuna di poterle usare quando, da sbarbato, volevo fare colpo su una ragazza e mi presentavo su questi capolavori. Personalmente ho sviluppato un amore incondizionato per le Range Rover, ne ho possedute tre e mi hanno permesso di vivere la stessa dimensione legata all’avventura che sperimento con una moto».
Ne parli spesso sui tuoi social, ma fai anche riferimento alla Jaguar E-Type.
«Assolutamente perché è l’auto, invendibile, presente nella nostra famiglia dagli anni Sessanta. Mio papà, giovane ingegnere nel pieno del boom industriale alla fine degli anni ’50, con l’Italia in piena ricostruzione, ha la possibilità di prendere un’auto. Va da Wolframo Koelliker, detto Bepi, che gli dice: “...ci sono due auto pronte, la Jaguar E-Type 3.8 prima serie, e questa Ferrari”. Probabilmente si trattava di una 250 GTO, avevano lo stesso prezzo e mio padre scelse la più bella, l’inglese ovviamente. Nel tempo ha sempre sostenuto che se avesse acquistato la rossa di Maranello avrebbe avuto un patrimonio da 2.000.000 di euro (in un’asta nel 2023, una 250 GTO è stata venduta a 48,3 milioni di euro, n.d.r.).
Abbiamo sempre riso di questa cosa e convenuto con la sua convinzione da vero gentiluomo: la bellezza è incommensurabile. In effetti la E-Type è un colpo di genio stilistico, con questi occhioni frontali che la fanno sembrare un pesce, il cofano lungo una silhouette riconoscibile e unica. E poi era la macchina di Diabolik ed Eva Kant, quindi una leggenda. Addirittura Enzo Ferrari in persona l’aveva definita l’auto più elegante del mondo. Un complimento mica da ridere!»
Leggi l'intervista completa a Roberto Parodi sul nuovo numero di Auto disponibile in edicola e in formato digitale.
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