Futuro elettrico? Puntiamo sulle infrastrutture

Futuro elettrico? Puntiamo sulle infrastrutture

Le vendite di auto ibride sono in crescita in Italia mentre le elettriche soffrono l'assenza di infrastrutture. Ecco cosa succede nel nostro paese e nel mondo

di Redazione

11.10.2018 ( Aggiornata il 11.10.2018 12:02 )

 “La transizione verso una mobilità sostenibile è sicuramente una strada tracciata”. L’incipit della nota diffusa a luglio dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti riflette una tendenza che – finalmente, è forse il caso di dire - riguarda anche il nostro Paese. Se guardiamo infatti ai dati dell’ultimo rapporto Unrae (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri) relativi al mercato delle immatricolazioni in Italia, a luglio le vendite delle auto elettriche hanno segnato una crescita del 340% rispetto al mese precedente. Oltre 2.900, numeri alla mano, le unità elettriche consegnate negli ultimi sette mesi (per una quota sul totale pari allo 0,4% e sono meno di 10mila quelle immatricolate dal 2014 al 2017) mentre le ibride sono arrivate a pesare su oltre il 4% del venduto. Ed è stata la stessa Unrae a ribadire come vi siano “le potenzialità per condurre l’Italia verso uno scenario più moderno e innovativo, che nel 2030 potrebbe far raggiungere ai veicoli elettrici ed ibridi una quota complessiva di circa il 50% del totale delle vendite”. Di quante unità stiamo parlando? L’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano stima fra i due (cifra più probabile) e i cinque milioni di veicoli alimentati a corrente, partendo dalle 1,2 milioni di auto elettriche spedite a livello mondiale nel 2017 (4.827 quelle finite sul mercato italiano, lo 0,24% del totale), con una crescita del 57% rispetto al 2016 e più del doppio delle 537mila del 2015.

L’abbattimento delle emissioni di CO2, lo sappiamo tutti, è un passaggio non più rimandabile per ridare ossigeno pulito alle città. Ma affinché questo “work in progress” possa funzionare bene, deve trovare sponda nello sviluppo di infrastrutture e di sistemi intelligenti per la ricarica dei veicoli, basato sulle più avanzate tecnologie informatiche per il controllo da remoto e arricchito dalla disponibilità di app mobili in grado di guidare l’utente nella ricerca e nell’utilizzo semplificato delle stazioni di rifornimento.

Sul suolo italiano, sempre secondo i dati dell’eMobility Report del Politecnico, si contano a fine 2017 circa 2.750 punti di ricarica pubblici a norma (+750 sul 2016), dei quali il 16% (443) high power, distribuiti in circa 1.300 colonnine. Un numero che presumibilmente continuerà a crescere anche in virtù del recente accordo firmato da Ministero e Regioni. Questo non significa però che l’infrastruttura italiana sia congrua alla potenzialità della domanda e sia un esempio di massima efficienza al servizio della mobilità elettrica, anzi, tutt’altro. I dati aggiornati a fine 2017 riflettono una diffusione non omogenea dell’infrastruttura sul territorio italiano, con un divario evidente fra il Sud e le altre aree del Paese e con differenze notevoli anche fra regione e regione. Una dicotomia che risulta ancora più significativa se si considera l’infrastruttura di ricarica in corrente continua, che oggi rappresenta circa il 10% dei punti di ricarica complessivi, localizzati per quasi due terzi al Nord (63%), poco più di un quarto al Centro (28%) e meno di un decimo al Sud e Isole (9%). La maggior parte delle installazioni è infine localizzata al 50% nei contesti urbani e nei punti di interesse (45%), mentre fuori dalle città ce ne sono ancora poche (5%), anche se la minore diffusione è compensata dalla maggiore velocità di ricarica. 

Il confronto con i principali Paesi europei ci dice che il divario già registrato a livello di immatricolazioni di auto elettriche è marcato anche dal punto di vista infrastrutturale: se consideriamo i punti di ricarica high power, infatti, la percentuale sul totale è in linea con la media delle nazioni più attrezzate, ma su numeri molto inferiori. E ancora. Se per numero di stazioni attive siamo nelle prime posizioni in Europa, dietro la capofila Germania (circa 25mila) e a seguire Regno Unito e Paesi Bassi, il quadro cambia radicalmente se si raffronta il numero di colonnine elettriche con quello degli abitanti: in questa classifica il Belpaese è al ventiseiesimo posto davanti solamente alla Spagna, alla Grecia e alla Francia e impallidisce al cospetto di una Norvegia che vanta una colonnina ogni 671 abitanti (circa 8mila nel complesso) rispetto all’una ogni 14.388 dell’Italia.

Se allarghiamo l’orizzonte a tutto il pianeta, gli analisti di Gtm Resarch prevedono come entro il 2030, in tutto il mondo, si conteranno 40 milioni di punti di ricarica, un esercito di colonnine indotto dalla crescita di domanda delle auto a zero emissioni, che rappresenteranno fra dodici anni l’11% delle vendite complessive. In Europa, secondo gli esperti, si attiveranno nove milioni di punti di ricarica domestica, ai quali si aggiungeranno 1,6 milioni stazioni di ricarica pubbliche, e quindi una discreta dotazione per pensare di intraprendere un viaggio totalmente “green” nel Vecchio Continente. Detto questo, sarà l’Asia, nello scenario disegnato da Gtm Research, a dominare la scena mondiale superando anche il Nord America, dove dovrebbero entrare in funzione 12 milioni di punti di ricarica domestica e 1,2 milioni ad accesso pubblico, con la California a fare da locomotiva. 

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