Su Auto in edicola, il nostro opinionista Guido Meda parla delle contraddizioni delle quali siamo capaci come popolo. Realizziamo capolavori, ma non sappiamo gestire bene il nostro Paese
17.09.2020 ( Aggiornata il 17.09.2020 15:26 )
Essere italiani è un pasticcio straordinario, ai limiti dell’inspiegabile. Non si capisce mica come si possa essere tanto cialtroni e nel contempo tanto geniali. A guardarla così, come ce la rappresentiamo tutti i giorni, tra noi sembra che non ce ne sia una che va dritta.
Sul Covid non si è ancora capito se siamo stati scarsi o virtuosi: nella conta, nei tamponi, nei pungidito, nelle terapie.
Non sappiamo quando, chi e come ci governerà. Quanti parlamentari? Quanti senatori? Facciamo un referendum, urlando contro gli sprechi, mentre continuiamo a sprecare, quasi tutti, chi più chi meno.
Infileremo i nostri figli in banchi stretti come l’abitacolo di un formulino e montati su ruote, alla faccia del distanziamento sociale; perché se è vero che i banchi su ruote sono facili da allontanare tra loro è anche facilissimo avvicinarli, trattandosi di straordinari mezzi da drifting, nonché impeccabili macchinine da autoscontro. Il demolition derby della terza A è servito. Personalmente, a scuola ai tempi miei, non avrei chiesto di meglio.
È il pilota che conta e nessuno meglio degli studenti ha la fantasia per la traiettoria e lo sprezzo del pericolo quando si tratta di manovre pericolose, che sia roba di moto, di auto o di banchi con le ruote.
Beviamoci anche questa e tiriamo avanti, così, perché qualcuno una mano salvifica ce la metterà ancora, prima o poi. Perché tra noi si annidano talenti e cervelli dal gusto ineguagliabile.
Noi, fervidi piloti di casini all’italiana di ogni genere, che abbiamo l’attitudine a lanciare il nostro meraviglioso Paese contro il muro scartando all’ultimo momento, siamo poi gli stessi in grado di realizzare in Trentino colture di mele sotterranee con la tecnica ipogea; oppure gli stessi capaci di progettare e produrre la Ferrari Roma.
Nell’era dell’insulto e del politicamente corretto (che poi di corretto non ha nulla), chiamare Roma una macchina così straordinariamente bella è un favore fatto alla nostra capitale, sulla cui bellezza immensa abbiamo steso una coltre di sfiducia pesante come l’ansia sul petto.
Ferrari Roma ha dentro un po’ di Germania (Porsche) e un po’ di Inghilterra (Aston Martin), per una sintesi estetica che è migliore di entrambe. Dai pasticci è uscito un altro guizzo artistico. Un capolavoro. Uno di quei lampi tutti nostri che, una volta ancora, ci salveranno dallo schianto.
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