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Su Auto in edicola, il nostro opinionista Guido Meda parla delle contraddizioni delle quali siamo capaci come popolo. Realizziamo capolavori, ma non sappiamo gestire bene il nostro Paese
Guido Meda
17 set 2020
Essere italiani è un pasticcio straordinario, ai limiti dell’inspiegabile. Non si capisce mica come si possa essere tanto cialtroni e nel contempo tanto geniali. A guardarla così, come ce la rappresentiamo tutti i giorni, tra noi sembra che non ce ne sia una che va dritta.
Sul Covid non si è ancora capito se siamo stati scarsi o virtuosi: nella conta, nei tamponi, nei pungidito, nelle terapie.
Non sappiamo quando, chi e come ci governerà. Quanti parlamentari? Quanti senatori? Facciamo un referendum, urlando contro gli sprechi, mentre continuiamo a sprecare, quasi tutti, chi più chi meno.
Infileremo i nostri figli in banchi stretti come l’abitacolo di un formulino e montati su ruote, alla faccia del distanziamento sociale; perché se è vero che i banchi su ruote sono facili da allontanare tra loro è anche facilissimo avvicinarli, trattandosi di straordinari mezzi da drifting, nonché impeccabili macchinine da autoscontro. Il demolition derby della terza A è servito. Personalmente, a scuola ai tempi miei, non avrei chiesto di meglio.
È il pilota che conta e nessuno meglio degli studenti ha la fantasia per la traiettoria e lo sprezzo del pericolo quando si tratta di manovre pericolose, che sia roba di moto, di auto o di banchi con le ruote.
Beviamoci anche questa e tiriamo avanti, così, perché qualcuno una mano salvifica ce la metterà ancora, prima o poi. Perché tra noi si annidano talenti e cervelli dal gusto ineguagliabile.
Noi, fervidi piloti di casini all’italiana di ogni genere, che abbiamo l’attitudine a lanciare il nostro meraviglioso Paese contro il muro scartando all’ultimo momento, siamo poi gli stessi in grado di realizzare in Trentino colture di mele sotterranee con la tecnica ipogea; oppure gli stessi capaci di progettare e produrre la Ferrari Roma.
Nell’era dell’insulto e del politicamente corretto (che poi di corretto non ha nulla), chiamare Roma una macchina così straordinariamente bella è un favore fatto alla nostra capitale, sulla cui bellezza immensa abbiamo steso una coltre di sfiducia pesante come l’ansia sul petto.
Ferrari Roma ha dentro un po’ di Germania (Porsche) e un po’ di Inghilterra (Aston Martin), per una sintesi estetica che è migliore di entrambe. Dai pasticci è uscito un altro guizzo artistico. Un capolavoro. Uno di quei lampi tutti nostri che, una volta ancora, ci salveranno dallo schianto.
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