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Il peso bassissimo resta il fattore cruciale del progetto Donkervoort con motore Audi 2.5 litri, insieme a una costruzione di telaio ibrida per materiali. Le prestazioni sono esagerate
Fabiano Polimeni
12 dic 2022
La sigla dell'ultima Donkervoort è in onore alla figlia primogenita, Filippa, del direttore generale dell'azienda olandese, Denis Donkervoort.
Nel design tutto spigoli e abitacolo arretrato, non esattamente un'esaltazione dell'armonia, c'è la riconoscibilità del marchio e delle due roadster. Con la targa F22, il contenimento del peso - pure in presenza di un telaio più accogliente, sicuro e di rigidità torsionale raddoppiata rispetto alla D8 GTO -, passa da scelte come il cambio 5 marce manuale a corsa corta (12 kg più leggero di un 6 o 7 marce), per continuare con il servosterzo, il climatizzatore, entrambi optional; tre le soluzioni ruota, tutte con gomme Nankang AR1 da 18 e 19 pollici: cerchi in lega da 12 kg per singolo elemento, forgiati in alluminio da 8 kg, oppure, i fibra di carbonio da 5,4 kg.
Al pilota offre l'ausilio della doppietta in scalata, una soluzione elettronica di rev-match firmata Bosch, oppure, la libera disattivazione del meccanismo per regalare l'estasi del punta-tacco manuale. Ancora, niente servofreno, bensì la capacità alla prova nel saper modulare la pressione sui freni, con dischi in acciaio e pinze a 4 pompanti firmate AP Racing. Questo è l'essere totalmente analogica della Donkervoort F22, insieme alle sospensioni a doppi bracci oscillanti e un differenziale posteriore autobloccante, meccanico e con una nuova scatola in grado di offrire un raffreddamento superiore e senza alcun radiatore supplementare.
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