Flop COP26, si incrina il muro dell’elettrica a tutti i costi

Flop COP26, si incrina il muro dell’elettrica a tutti i costi© Ansa

La mancata firma di tante Case della lettera di intenti per lo stop ai motori termici è realismo: i 445 miliardi investiti sulle zero emissioni al 2030 non garantiscono una transizione equilibrata

di Pasquale Di Santillo

31.12.2021 ( Aggiornata il 31.12.2021 09:58 )

È una legge non scritta, ma di vita: le cose imposte dall’alto, peraltro senza nemmeno avere basi solide e completamente giustificate, non ottengono mai i risultati sperati. È uno dei tanti modi con cui si può spiegare il flop della COP26 di Glasgow, sulla dichiarazione di intenti relativa al blocco delle auto con motore endotermico al 2040 ignorata dal gruppo più consistente dei Costruttori mondiali, rappresentanti di più dei tre quarti della produzione automotive del globo. Eh già, perché se a tirarsi fuori dalla lotta sono Volkswagen, Stellantis, Renault, Nissan, Hyundai, BMW e Toyota, è evidente che qualcosa non funzioni. Un po’, tanto per fare un curioso parallelo, come successo nel fallimento dell’accordo sul clima non firmato da Cina, Usa, India e Germania, sempre al vertice scozzese.
E, in fondo, solo degli inguaribili ottimisti potevano sperare in qualcosa di diverso. Gli ottimisti e gli integralisti in servizio permanente effettivo che fanno finta di ignorare la realtà delle cose. E cioè l’immaturità complessiva del “sistema” elettrico, tra carenza di infrastrutture, costi elevati (con incentivi a singhiozzo) e soprattutto la dipendenza, chissà ancora per quanto tempo, da fonti energetiche ancora poco pulite, in attesa che decolli davvero la produzione di quelle rinnovabili.

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Investimento sull'elettrico da 445 miliardi

E sinceramente non suona nemmeno come una contraddizione la scelta politica dei Costruttori negazionisti di non firmare il documento a fronte dei 445 miliardi di investimenti sull’elettrico pianificati da tutte le Case da qui al 2030 (già il doppio rispetto alle previsioni di soli tre anni fa). Intanto, perché buona parte di quel denaro è figlio di normative capestro - l’imposizione dall’alto - e poi perché si tratta di posizioni realiste, più che scettiche. Basate sull’osservazione dei fatti e della situazione, sull’incertezza infrastrutturale che cambia di Paese in Paese e su tutti gli altri limiti di una rivoluzione spinta e annunciata ma che si è ormai trasformata in una gigantesca incognita. Tanto grande al punto che le date proposte, suggerite dall’UE, non convincono ormai quasi nessuno, al netto di ulteriori forzature-obblighi. Il simbolo di tutte le posizioni registrate durante e dopo la COP26 di Glasgow, resta quella espressa da Carlos Tavares, AD del Gruppo Stellantis. Il manager portoghese, non nuovo a questo tipo di esternazioni - puntualmente, un mese sì e l’altro pure, o a corrente alternata, non perde l’occasione per ammonire tutta l’opinione pubblica sui problemi generati dall’accelerazione imposta alla mobilità elettrica - non ha parlato nei giorni di Glasgow, ma un paio di settimane dopo, a freddo, risultando ancora più netto e duro del solito. Forse perché ancora più consapevole dei numeri e della realtà che i suoi 14 brand, la sua azienda, vivono quotidianamente.

Le parole di Tavares

A questa velocità - ha spiegato alla conferenza di Reuters Next - la transizione mette a rischio posti di lavoro e qualità delle auto. Quello che è stato deciso è di imporre all’industria automobilistica è un’elettrificazione che comporta un 50% di costi aggiuntivi rispetto a un veicolo convenzionale. Peccato non ci sia modo di trasferire questo 50% sul consumatore finale, perché la maggior parte della classe media non sarà in grado di pagare”. E, se i governi e gli investitori dovessero chiedere un’ulteriore accelerazione, qui si stanno “sfidando i limiti dell’industria automobilistica”.

La conseguenza, inevitabile, di questo meccanismo perverso, è una sola, secondo Tavares. I Costruttori, per far quadrare i conti, saranno semplicemente costretti ad aumentare ulteriormente i prezzi delle auto e di conseguenza a venderne di meno, riducendo così i già risicati margini di guadagno.

Una prospettiva che genera un effetto domino praticamente automatico mettendo a rischio i lavoratori, come anche più volte sottolineato dai sindacati. “Nei prossimi cinque anni - ha aggiunto Tavares - dovremo digerire un aumento del 10% della produttività all’anno, mentre il nostro settore è abituato a una crescita dal 2 al 3%. Il futuro ci dirà chi sarà in grado di digerire questa situazione, e chi fallirà”. Questo, ovviamente mentre si conferma la strategia di investimenti, visto che non passa giorno che non venga annunciato un accordo: dallo sviluppo delle batterie allo stato solido, alla fornitura di litio per le batterie.

Un refrain abituale ormai per tutte le Case, perché gli integralisti sono troppo occupati a camminare con i paraocchi per comprendere gli sforzi delle Case, Forse, solo quando inizieranno a chiudere qualche stabilimento e si scatenerà la protesta di chi ha perso il lavoro, si renderanno conto della tempesta perfetta che hanno generato. Ci auguriamo solo che quando tutto questo succederà - perché succederà - non sia troppo tardi per porvi rimedio.

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