Il mondo ribaltato: lunga vita ai motori termici

Uno studio conferma che nel 2050 i motori tradizionali copriranno ancora il 67%  del parco circolante Mondiale: cioè 2 vetture su 3 saranno con propulsori endotermici. Gli integralisti del tutto elettrico al 2035 dovrebbero farsene una ragione

di Pasquale Di Santillo

15.02.2023 09:22

Segnali di vita su Marte. Non proprio una ribellione ma qualcosa che somiglia a una presa di coscienza collettiva, relativamente all’insostenibile pesantezza del tutto elettrico al 2035. Cominciamo dai numeri, che, per quanto possano essere mere proiezioni, un senso concreto a tutta la vicenda lo regalano, eccome. L’Osservatorio Autopromotec sulla base di studi del Bloomberg New Energy Finance, Goldman Sachs e del Gruppo Wood Mackenzie ha sentenziato: entro il 2050 il parco circolante mondiale di autovetture sarà composto per i due terzi (67%) da auto a combustione interna (benzina, Diesel e ibride), per il 28% da full electric e ibride plug-in e per il 5% da auto ad alimentazione alternativa (idrogeno, metano e GPL). Sempre entro il 2050, i veicoli elettrici a batteria (BEV) diventeranno i più venduti in assoluto, con una quota di mercato del 56%, seguiti da quelli a combustione interna (ICE, con quota del 18%), dagli ibridi elettrici (HEV, 16%), dai PHEV (5%) e da Fuel Cell e Flex Fuel (5%).

Al netto della presunta accelerazione - e del riesame atteso per il 2026 - del tutto elettrico dal 2035 con tanto di divieto imposto dall’UE di commercializzazione di veicoli a combustione interna, le analisi degli esperti prevedono che, addirittura 15 anni dopo il teorico stop, gli amati motori termici continueranno dunque a essere a lungo i più diffusi a livello globale. Avete capito bene: al 2050 due auto su tre in circolazione saranno endotermiche. Anche perché America e Asia, Cina in testa - figuriamoci l’Africa - non ci pensano proprio a  diktat come quello dell’UE. E se qualcuno insiste nell’integralismo alla spina è perché ha i suoi interessi a farlo, fino a negare l’evidenza dei numeri e anche quella scientifica.

Ora, Gill Pratt, ex ricercatore del MIT di Boston, da anni guru di Toyota, non è esattamente un professionista neutrale visto che lavora, appunto, per il colosso giapponese. Ma sia al Kenshiki Forum che qualche settimana più tardi a quello di Davos ha portato evidenze pratiche di come “l’elettrificazione della mobilità non potrà avvenire solamente con le auto elettriche”. Passando dalle proiezioni, meglio, dalle visioni alla realtà pratica del quotidiano, che qualcosa non funzioni esattamente come se l’erano immaginata i burocrati di Bruxelles, adesso iniziano a capirlo in molti. In Scozia, ad esempio, a differenza di quello che dovrebbe succedere nel resto del Regno Unito, a causa della lentezza nella costruzione della rete di ricarica del Paese e degli elevati costi per far funzionare un’auto elettrica, il Governo scozzese ha posticipato al 2032 la data in cui la vendita delle nuove auto a benzina e Diesel sarà vietata, data precedentemente fissata al 2030.

Così, mentre la Von der Leyen cerca di trovare un accordo con gli Stati Uniti pronti a tutelare l’industria nazionale con i suoi incentivi all’elettrico, solo se americano, capita anche che uno Stato come il Wyoming, la cui economia era e rimane saldamente ancorata al petrolio, annunci una proposta di legge per “la graduale cessazione della vendita di nuovi veicoli elettrici entro il 2035”. Insomma, il mondo se non si sta proprio ribaltando, quantomeno riflette, pensa. Perché se il futuro del pianeta va tutelato e la mobilità cambiata affinché produca meno danni possibili all’ambiente è anche vero che le imposizioni volute da lobby “interessate” per una tecnologia dai costi altissimi che tanto più pulita di quella che c’era, e ci sarà a lungo, non è, primo o poi vengono allo scoperto. E allora prepariamoci a una transizione più intelligente.

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