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Luca Talotta
5 set 2025
Da decenni le auto giapponesi godono di una reputazione speciale: quella di essere “indistruttibili”. Dai modelli più semplici alle berline di lusso, fino ai fuoristrada leggendari, la percezione comune è che le vetture del Sol Levante resistano al tempo e all’usura meglio di tante rivali europee e americane. Ma da dove nasce questa fama? E soprattutto, quanto è meritata? Analizziamo le ragioni tecniche, culturali ed economiche che hanno reso Toyota, Honda, Nissan, Mazda, Mitsubishi e Subaru sinonimo di affidabilità.
Il primo motivo va ricercato nella mentalità giapponese. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’industria nipponica decise di puntare sulla filosofia del kaizen, il miglioramento continuo. Ciò significava eliminare sprechi, perfezionare ogni singolo dettaglio e ridurre al minimo i difetti di produzione. Il risultato fu un salto qualitativo che negli anni ’70 e ’80 conquistò i mercati occidentali. Marchi come Toyota e Honda si affermarono perché offrivano auto che non si rompevano, capaci di percorrere centinaia di migliaia di chilometri senza problemi gravi. Una rivoluzione rispetto a certe vetture europee, spesso belle ma più fragili.
Altro elemento chiave: la meccanica semplice, robusta e collaudata. Le auto giapponesi indistruttibili sono nate con motori aspirati poco stressati, cambi manuali solidi, elettronica ridotta all’essenziale. Toyota Corolla, Honda Civic, Nissan Micra: tutti esempi di vetture che hanno fatto della durata il loro marchio di fabbrica. In particolare, i fuoristrada come Toyota Land Cruiser o Mitsubishi Pajero hanno scritto la leggenda della resistenza, usati nei deserti africani, nei territori più impervi dell’Australia e perfino da ONG e spedizioni scientifiche, dove la priorità era avere un mezzo che non ti lasciasse a piedi.
Un altro punto di forza è la facilità di manutenzione. I costruttori giapponesi hanno sempre progettato automobili pensando alla lunga durata, utilizzando materiali affidabili e intervalli di manutenzione ragionevoli. Non a caso, molte officine giurano che i motori giapponesi siano i più semplici da aprire e riparare. Inoltre, la rete di assistenza è stata studiata per essere capillare e accessibile, un fattore che ha permesso di mantenere alto il valore dell’usato. Non sorprende che nei mercati emergenti, come Africa e Sud America, le vetture giapponesi siano le più ricercate.
Un altro aspetto spesso sottovalutato riguarda la filosofia progettuale. Mentre molte Case europee hanno spinto su design accattivanti, optional di lusso e innovazioni elettroniche, i giapponesi hanno scelto la via della sobrietà. Il loro obiettivo era creare mezzi che durassero nel tempo, senza troppi fronzoli. Questa scelta li ha premiati: oggi molti automobilisti raccontano di avere in garage una Toyota o una Honda con oltre 300.000 km ancora perfettamente funzionante. Certo, non erano auto emozionanti da guidare come alcune tedesche o italiane, ma hanno dimostrato di poter durare una vita intera.
Oggi le cose sono cambiate: anche i costruttori giapponesi hanno abbracciato elettronica avanzata, infotainment, assistenti alla guida e motori ibridi. Eppure la reputazione costruita in oltre mezzo secolo resiste. Toyota è ancora il marchio più affidabile al mondo secondo i principali studi internazionali, mentre Honda e Mazda vengono regolarmente citate tra le Case con meno guasti. In un’epoca in cui le auto sembrano diventare sempre più complesse e delicate, la memoria collettiva continua a vedere nei modelli giapponesi il simbolo della durata e della resistenza.
Il mito delle auto giapponesi indistruttibili dovrebbe essere una lezione anche per l’industria europea. Puntare troppo su design e gadget rischia di far dimenticare la priorità assoluta: la qualità. Perché alla fine l’automobilista non chiede soltanto uno schermo touch o un assistente vocale, ma soprattutto una vettura che non lo tradisca mai. È proprio questo che i giapponesi hanno saputo garantire, trasformando le loro auto in sinonimo di fiducia.
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