Benefit auto, nuove regole fiscali tra incentivi green e nodi interpretativi

Il fringe benefit legato all’uso promiscuo delle auto aziendali cambia ancora: nel 2025 il legislatore ha riscritto le percentuali di tassazione, premiando elettriche e ibride ma lasciando aperti dubbi applicativi
Benefit auto, nuove regole fiscali tra incentivi green e nodi interpretativi
© Tyler Clemmensen (Unsplash)

Luca TalottaLuca Talotta

2 ott 2025

Il benefit auto è da anni uno dei temi più discussi quando si parla di fiscalità legata al lavoro dipendente. Il motivo è semplice: l’auto aziendale concessa a uso promiscuo, cioè sia per esigenze professionali che private, rappresenta un valore aggiunto per il lavoratore, ma anche un costo fiscale e gestionale per l’azienda. Dopo le prime modifiche introdotte a metà 2020, con la tassazione graduata in base alle emissioni di CO2, il 2025 segna una nuova svolta.

Il legislatore ha infatti stabilito che le auto a motore termico vengano assoggettate a una tassazione forfetaria del 50%, raddoppiando di fatto l’impatto rispetto al passato. Agli antipodi si collocano i veicoli elettrici, che godono di un’aliquota agevolata del 10%, mentre per gli ibridi plug-in la tassazione è fissata al 20%. Una scelta chiaramente indirizzata a incentivare la mobilità a basse o zero emissioni, in linea con gli obiettivi europei di decarbonizzazione.

Ma dietro questo apparente schema lineare si nasconde un quadro normativo complesso, che mette in difficoltà aziende e professionisti. A determinare il corretto trattamento fiscale, infatti, non bastano più le tabelle ACI: occorre verificare con attenzione data di immatricolazione del mezzo, data di assegnazione e data di consegna al dipendente, elementi che possono influire in maniera significativa sul calcolo finale.

Gli interpelli dell’Agenzia delle Entrate

A complicare ulteriormente il quadro arrivano i chiarimenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate, che con gli interpelli n. 233/E/2025 e 237/E/2025 ha aggiunto tasselli importanti, ma non sempre facili da interpretare.

Il primo riguarda i casi in cui il dipendente versi un contributo monetario per optional specifici richiesti sull’auto aziendale. In questa circostanza, tali somme non riducono la base imponibile del benefit, poiché non rientrano nel calcolo convenzionale previsto dall’articolo 51 del Tuir.

Il secondo interpello, invece, si concentra sul tema della ricarica delle auto elettriche. Se il datore di lavoro fornisce una card per coprire i costi di ricarica, non si genera un ulteriore benefit imponibile: queste spese sono già incluse nel costo chilometrico elaborato dall’ACI. Tuttavia, se il lavoratore sostiene direttamente la spesa per l’uso privato oltre una certa soglia di chilometri, tali importi non possono essere sottratti dal valore del fringe benefit.

Una normativa che crea incertezza

La logica dell’intervento è chiara: premiare la transizione ecologica e indirizzare aziende e dipendenti verso veicoli meno inquinanti. Tuttavia, la complessità delle regole e la necessità di distinguere tra voci di costo diverse rischiano di trasformare quello che dovrebbe essere un incentivo in un labirinto normativo.

Per le aziende, ciò significa affrontare un ulteriore carico amministrativo, fatto di controlli puntuali e interpretazioni che spesso richiedono il ricorso a consulenti specializzati. Per i dipendenti, invece, resta il dubbio su quanto effettivamente convenga avere un’auto aziendale in fringe benefit, considerando che la tassazione può variare sensibilmente a seconda della motorizzazione scelta.

Eppure, nel settore automotive, la questione non è secondaria. Se i benefici fiscali premiano elettriche e ibride, le aziende potrebbero essere spinte a rinnovare più velocemente le flotte, accelerando la diffusione delle nuove tecnologie. Ma senza una normativa chiara e stabile, il rischio è che la fiducia degli operatori venga meno, rallentando proprio quel cambiamento che il legislatore vorrebbe stimolare.

Uno sguardo al futuro

Il tema dei fringe benefit auto non riguarda solo la tassazione: incrocia sostenibilità, politiche aziendali e attrattività del lavoro. In un contesto in cui le imprese cercano strumenti per fidelizzare i dipendenti e allo stesso tempo devono rispondere agli obiettivi green, la chiarezza normativa diventa fondamentale.

La domanda che resta aperta è: riuscirà il legislatore a trovare una strada semplice, equa e stabile? Oppure continueremo a muoverci in un sistema di regole stratificate, che rischiano di disorientare più che incentivare?

Quel che è certo è che la mobilità aziendale rappresenta un tassello strategico del percorso verso la transizione ecologica. E il modo in cui verranno gestiti i benefit auto nei prossimi anni sarà decisivo per capire se l’Italia riuscirà davvero a coniugare crescita economica e sostenibilità.

 

 

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