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La nuova restrizione dei limiti alle emissioni di CO2, con conseguente fine produzione dei motori endotermici per passare agli elettrici nel 2035 ha raccolto pochi consensi (solo Volkswagen) e tante critiche perché viene dall'alto e non dal mondo del lavoro

di Pasquale Di Santillo

11.08.2021 ( Aggiornata il 11.08.2021 17:59 )

Le rivoluzioni imposte dall'alto non hanno mai funzionato, se non a costi (nel passato di vite umane) altissimi. Alla stessa maniera, quando una decisione arbitrale, nel calcio o negli altri sport, viene criticata da tutti, c'è qualcosa in quella decisione che non quadra. Ecco, se dovessi fotografare le reazioni alla proposta annunciata da Ursula von der Leyen a metà luglio di stabilire standard più rigorosi per le emissioni di CO2 (dal -37,5% di oggi al target del -55% rispetto al 2021, entro il 2030 e del -100% al 2035), che decreterebbero di fatto la "morte" dei motori endotermici ad appannaggio esclusivo del decollo dell'elettrico, direi proprio che ci troviamo nella fattispecie che non accontenta nessuno.

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OCCUPAZIONE NON TUTELATA

È vero, parliamo di una proposta, attesa da un iter legislativo senza fine (prima verrà discusso da ognuno dei 27 Paesi dell'Unione, poi dai vari organi dell'UE), com'è vero che la ratio è corretta vista la necessità di intervenire sulle cause che stanno sconvolgendo il clima del nostro Pianeta. Ma è altrettanto vero che un'accelerazione restrittiva come quella della Commissaria von der Leyen - pur considerando che parliamo sempre di un periodo-ciclo di 14 anni - non tutelerebbe l'occupazione da una rigenerazione industriale di questo tipo, anche al netto di tutti i grandi investimenti che le stesse Case costruttrici stanno (forzatamente) facendo per non farsi trovare impreparate alle scadenze imposte dalla politica. Un pacchetto di proposte denominato in maniera piuttosto singolare - Fit for 55 - anche se, per una volta, comprende una visione un po' più complessiva del sistema prevedendo colonnine di ricarica elettrica ogni 60 km in autostrada (ogni 150 km per l'idrogeno), un fondo per cofinanziare al 50% politiche di incentivazione nazionali (70 miliardi in 7 anni), oltre a occuparsi anche della sostenibilità dell'edilizia pubblica (da rinnovare al 3% ogni anno).

VOCI CRITICHE E FUORI DAL CORO

Insomma, un green deal vero e proprio. Che, di fatto, ha raccolto solo l'adesione totale del Gruppo Volkswagen pronto a garantire per quelle date i prodotti necessari a raggiungere i target fissati. Per il resto, solo voci distoniche e/o critiche: dal sindacato tedesco VDA, ai Costruttori europei dell'ACEA, per non parlare della Clepa (i fornitori europei di componentistica) o della stessa ANFIA (la filiera italiana della componentistica), mentre l'UNRAE si è limitata a esprimere una generica perplessità. A essere assolutamente negative sui contenuti della proposta sono state, paradossalmente, le associazioni ambientaliste come Greenpeace e Legambiente che hanno ritenuto insufficienti i provvedimenti individuati per garantire la tutela del clima. Sull'altro versante, fuori dal coro, come sempre il Ministro della Transizione Ecologica, Cingolani, che ha giocato "pesante", garantendo la chiusura dell'italianissima Motor Valley se queste normative dovessero, come nei piani, essere estese anche alle produzioni di nicchia come Ferrari, Lamborghini, Maserati e McLaren. Perché i famosi 14 anni non sarebbero mai sufficienti a riconvertire un comparto di quel genere. E se la "grande opportunità" dell'elettrico, riconosciuta dalle stesse Case, non viene accompagnata, almeno in Italia, da una politica seria di incentivi nel breve e medio termine, in grado di sostituire 30 milioni di vetture tra euro 0 e euro 2, i target di sostenibilità e pulizia dell'aria resteranno un miraggio ancora a lungo. Almeno fino alla prossima "stretta" della politica.

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La realtà è che le rivoluzioni si fanno dal basso, condividendole con chi tutti i mesi deve portare a casa pane e companatico. Altrimenti i danni sociali saranno molto più elevati di quelli prodotti dall'evidente alterazione climatica.

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