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Hertz avvia la procedura di fallimento in USA e Canada

Il coronavirus si abbatte sul gigante dell'autonoleggio con 102 anni di storia alle spalle. La società ha presentato istanza di fallimento e si avvale del "Capitolo 11" per ristrutturare il debito ed evitare la liquidazione

Hertz avvia la procedura di fallimento in USA e Canada

Michele SalvatoreMichele Salvatore

25 mag 2020 (Aggiornato alle 16:02)

Come la crisi economica provocata dal coronavirus stia trascinando nel baratro tutta la filiera del settore automotive, lo stiamo raccontando a gran voce sullo speciale Ripartiamo in edicola e sul web.

La pandemia non ha solo messo in ginocchio Case e rete delle concessionarie, la stretta alla circolazione delle persone ha sferrato un duro colpo al settore del noleggio a breve, medio e lungo periodo, come denunciato dal presidente dell’ANIASA Archiapatti, nell’intervista che ci ha rilasciato pochi giorni fa.

Se la situazione in Italia è disperata, con un calo del 97% registrato in aprile, dall’altro capo dell’oceano è anche peggiore. Uno dei colossi mondiali del settore, la società Hertz, fondata nel 1918, ha presentato in USA e Canada istanza di fallimento.

"L’impatto del COVID-19 sulla domanda degli spostamenti è stato improvviso ed enorme, e ha causato un brusco declino delle entrate dell’azienda e delle prenotazioni future. Sono state adottate misure immediate per dare priorità alla salute e alla sicurezza dei propri impiegati e clienti ed eliminate tutte le spese non essenziali" si legge nella nota rilasciata dal gruppo.

L’istanza di fallimento non significa serrata totale. La società si è avvalsa del “Capitolo 11”, la norma della legge fallimentare degli USA che permette alle società di ristrutturare i dissesti finanziari, la nostra amministrazione controllata. Solo in caso di mancato accordo con i creditori, la via del “Capitolo 7”, il fallimento vero e proprio con la messa in liquidazione dell’azienda, sarà inevitabile.

Hertz era in difficoltà già da tempo, avendo accumulato negli ultimi anni debiti per 17 miliardi, ma i segnali di ripresa sono stati spazzati via dalla tempesta perfetta della pandemia, che ha paralizzato i viaggi, svalutato il valore della flotta e di conseguenza azzerato i ricavi.

Il fallimento non riguarda le attività in Europa, Australia e Nuova Zelanda, ma il segnale arrivato dall’altra sponda dell’Atlantico è un campanello d’allarme dal rumore assordante.

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