Volvo V60 D4, 4 cilindri che valgono 5, prova su strada

Volvo V60 D4, 4 cilindri che valgono 5, prova su strada
Il nuovo biturbodiesel duemila a 4 cilindri rimpiazza il classico 5 cilindri: è più brillante e fluido e consuma meno. Bella tenuta, grande qualità

di Marco Visani

09.06.2014 ( Aggiornata il 09.06.2014 04:50 )

Prestazioni

Quando si parla di downsizing, di solito vengono in mente bicilindrici, quattro cilindri che diventano tre, cilindrate ridicole abbinate a macchine improbabili. Nulla di tutto questo è successo alla V60 D4, che tuttavia, scendendo da cinque a quattro pistoni e da 2400 a 2000, è stata presa a sua volta nel vortice del rimpicciolimento dei motori.

E ci ha guadagnato di brutto. I vecchi cinque cilindri Volvo (che resteranno ancora per qualche tempo in affiancamento su gran parte della gamma, per poi progressivamente sparire) avevano un difetto, peraltro congenito al frazionamento dispari: erano ruvidi. Molto ruvidi.

Il nuovo Drive-E da 181 cavalli, viceversa, è uno dei motori più fluidi dell’ultima generazione: vibra pochissimo (intendiamoci: diesel è e diesel resta), ha un’erogazione corposa e lineare, una doppia sovralimentazione efficace, la cui azione è avvertibile fin poco sopra i 1.000 giri (fatto veramente raro) e un allungo niente male per un propulsore a gasolio, visto che lambisce i 5.000 giri senza affanno. Ovviamente la disponibilità di coppia, generosa e ben distribuita, non sarebbe altrettanto apprezzabile se il cambio non ci mettesse del suo.

E qui entra in gioco l’altro pezzo nuovo del comparto meccanico: l’automatico a otto marce — queste invece crescono: prima erano sei — che ha una notevole rapidità di innesti sia in progressione che in scalata, non fa minimamente avvertire il trascinamento del convertitore di coppia e appare gradevole anche nella selezione manuale, aiutato dai quasi immancabili paddle al volante ai quali manca giusto un mezzo centimetro in più di lunghezza per essere perfetti.

A queste positive sensazioni si aggiunga che il posto guida rimane quello — pressoché perfetto — delle Volvo, specie quelle di ultima generazione; a voler trovare il pelo nell’uovo, bisogna fare un po’ l’abitudine alle logiche del freno a mano elettronico, che non tutti i costruttori interpretano alla stessa maniera. Il resto del comparto dinamico non presenta novità: la V60 era e resta una station molto gradevole, facile e rassicurante, con uno sterzo confortevole e preciso, semmai appena carente di carico in velocità, e un comportamento “da non pensarci”: l’assetto non è piatto ma nemmeno eccessivamente afflitto da rollio, e la vettura ha appoggi immediati, si iscrive con decisione e non ha nemmeno tanto sottosterzo, riuscendo a contenere gli effetti dei trasferimenti di carico con il naturale equilibrio dell’autotelaio prima ancora che con la correzione elettronica.

Fin qui le impressioni di guida. In soldoni, che vantaggi porta il trapianto di motore? A titolo di paragone vediamo alcuni numeri della V60 D5 AWD (5 cilindri, 2.4 litri, 205 cv) che provammo su Auto 8/2011: siamo d’accordo che i numeri non sono perfettamente omogenei perché il confronto diretto sarebbe tra la D4 nuova e la D4 vecchia (non presente nel nostro database), ma la distanza — nonostante la disparità di trazione — non è in ogni caso abissale e ce n’è abbastanza per farsene un’idea. Tolto lo svarione in velocità (217,8 contro 229,1 km/h), la nuova D4 vince in accelerazione (7”64 invece di 8”12 nello 0-100), demerita di poco in ripresa (5”61 anziché 5”35 nel passaggio 80-120), conferma suppergiù gli stessi livelli, corretti, di isolamento acustico (70,3 dB a 130 km/h ai posti anteriori contro 70,2) e — soprattutto — ottiene percorrenze chilometriche decisamente più vantaggiose: da una media di 14,212 km/litro siamo arrivati a 17,232, con punte di 22,216 ai 90 all’ora costanti e un più realistico 14,981 km/litro in autostrada a velocità di codice. Persino in città si sfiorano i 14 (13,817 per la precisione) e si ottiene un’autonomia complessiva media di 1163 km.

La frenata conferma gli spazi della precedentre D5, fatti salvi spostamenti (in meglio o in peggio) di poche decine di centimetri a seconda delle velocità di riferimento. Le sensazioni al pedale si confermano buone, con un bel mordente e una facile modulabilità.

Infine, il confort: è uno dei pezzi meglio riusciti dell’insieme, merito sia del buon incapsulamento degli organi meccanici (la diversa sonorità del motore un minimo di aiuto lo dà) sia dell’adeguato filtraggio delle sospensioni, che hanno ammortizzatori abbastanza morbidi in estensione capaci di reagire con sufficiente souplesse alle sollecitazioni di fondi irregolari, bumper e altre asperità. Apprezzabile anche la mancanza di fruscii aerodinamici.

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