Fabiano Polimeni
2 lug 2025 (Aggiornato il 3 lug 2025 alle 11:48)
Nelle dichiarazioni di Jean-Philippe Imparato, che ha avanzato l’ipotesi della chiusura di stabilimenti produttivi, facendo il nome di quello Stellantis ad Atessa, c’è un grande "se" e un più ampio tema di prospettive diverse che deve adottare l'Europa. Un se legato al cambiamento di rotta necessario rispetto alle politiche attualmente in vigore, che riguardano i limiti sulle emissioni nel triennio 2025-2027 e il piano Fit for 55 che, a oggi, prevede lo stop alla vendita delle auto termiche nel 2035.
Invoca un cambio di mentalità, l’importanza di passare a politiche di rinnovamento del parco auto circolante più vetusto con motorizzazioni pulite, termiche e ibride, auto usate meno inquinanti e non solo elettriche.
Viceversa, incaponirsi sulle soglie attuali di emissioni (93,6 g/km di media da realizzare a fine 2027) e la relativa necessità di portare almeno al 20% le vendite di modelli elettrici sul totale di un Costruttore, creerà dure ripercussioni.
“Siamo a pochi mesi da un dramma industriale che pochi vedono. Mi si chiede di vendere il 20% di auto elettriche in Europa (percentuale sul totale dei volumi; ndr). Da mesi ci sono tanti commenti ma niente è cambiato”, dice Imparato, intervenuto al convegno Stati generali dell’energia, organizzato da Forza Italia.
Il dato percentuale lo contestualizza in numeri, sulla realtà Stellantis veicoli commerciali, la divisione Pro One che sul mercato è tra i protagonisti: “Con il 10% di vendite di elettriche arrivo al 30% di quota di mercato. Se devo raddoppiare il mix di elettriche e arrivare al 20%, equivale a detenere un 60% di quota di mercato. E chi lo fa in un mercato competitivo come il nostro?
Ogni punto percentuale di elettriche non vendute costa 150 milioni di euro. Il rischio massimo è di dover pagare 2,5 miliardi (in multe; ndr) tra 2-3 anni. Una multa che pago una volta, la seconda chiudo lo stabilimento di Atessa. Se devo arrivare al 20% di vendite di auto elettriche, ho due soluzioni: spingo ma è impossibile arrivare ad avere il 60% di quota di mercato, oppure, fermo le motorizzazioni termiche. Punto. Quindi, chiudo fabbriche”.
Che fare? Imparato chiede un cambio di prospettiva dell’Europa, che a fine anno dovrà condurre il riesame delle condizioni per la messa al bando delle auto termiche dal 2035. Serviranno altre concessioni, tradurre la neutralità tecnologica in reali pratiche e aperture alle auto ibride.
“Proposte? Ne ho due. In Europa girano 256 milioni di auto, di cui 150 milioni con più di 10 anni. Facciamo qualcosa da adulto, rinnoviamo il parco auto circolante, 15 milioni di veicoli all’anno per i quali non ho bisogno di soldi, di rottamazione.
Se rottami una macchina e ne vendiamo una nuova o una usata recente, questo conta nel mio bilancio di CO2. Non mi servono soldi ma una diversa impostazione mentale. Rinnoviamo il parco circolante, con l’ibrido, l’ibrido plug-in, l’elettrico, il range extender, con l’industria che abbiamo e si può decidere in 5 minuti. E’ una decisione di buonsenso”.
Il secondo intervento riguarda lo snellimento delle normative, per provare a ripopolare l’offerta di auto nuove a prezzi accessibili: “Non ci sono macchine a meno di 15 mila euro. Nel 2019 c’erano, in Europa, 49 modelli a meno di 15 mila euro. Nel 2024 ne abbiamo 1, il mercato è calato di 3 milioni. Il mercato è sparito, gente che non ha soldi per rinnovare l’auto e parliamo di CO2 senza mettere in conto questi elementi. Perché non ci sono più? Perché costa una barca di soldi l’omologazione. Il costo per produrre un’auto in Spagna è di 500 euro, il costo per i regolamenti è di 2.000 euro. Fermiamo tutto questo. Vi serve il mantenimento attivo di corsia a tutti? Costa 250 euro a macchina e non ci serve”.
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