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Luca Talotta
12 ago 2025 (Aggiornato il 14 ago 2025 alle 08:47)
Sognato, progettato, bloccato, ripreso e promesso da decenni, il Ponte sullo Stretto di Messina è diventato realtà — almeno sulla carta e nei cantieri annunciati in pompa magna. Ma, mentre la narrazione politica lo dipinge come una rivoluzione per la mobilità del Mezzogiorno, i numeri rivelano tutt’altro: sarà il ponte con il pedaggio più caro al mondo. Altro che progresso: questa sembra l’ennesima beffa per gli automobilisti italiani, già schiacciati tra tasse, bolli, carburanti e assicurazioni ai limiti dell’indecente.
Secondo il Codacons, attraversare i 3,66 km del ponte costerà 10 euro a tratta. Tradotto: 2,73 euro a chilometro. Una cifra che, messa in prospettiva, fa rabbrividire. Basti pensare che il costo medio delle autostrade italiane si attesta a 0,075 euro/km. In pratica, il Ponte sarà 3.540% più caro. Sì, tremilacinquecentoquaranta. Non è un errore di battitura: è la conferma che in Italia spesso i sogni si pagano a peso d’oro.
Il confronto con altre grandi infrastrutture europee e mondiali non fa che peggiorare il quadro. L’Eurotunnel, che collega Francia e Regno Unito passando sotto la Manica con un’opera di alta ingegneria lunga oltre 50 chilometri, costa 1,43 euro/km: quasi la metà del pedaggio previsto per il Ponte sullo Stretto. Anche i ponti americani più celebri — dal Golden Gate di San Francisco al George Washington Bridge di New York — si fermano ben al di sotto del chilometro-tariffa italiano.
Come se non bastasse, il Ponte si troverà in una delle aree a più basso reddito d’Europa, dove l’età media del parco auto supera i 14 anni in Sicilia e 13 anni e 8 mesi in Calabria. Chiariamo: non è solo una questione di cifre, ma di equità sociale. Come si può chiedere 10 euro per 3,6 chilometri a un automobilista che magari ogni giorno si muove su una Panda del 2004 per andare a lavorare e guadagna 1.200 euro al mese — se va bene?
E qui il quadro si complica ancora. La stragrande maggioranza delle transazioni in Calabria (il 91%) avviene ancora in contanti, a fronte del 57,5% in Lombardia. È un dato economico e culturale, ma anche logistico: quanti caselli automatici o telepedaggi funzioneranno davvero al 100% in un’infrastruttura tanto delicata? Quanti si troveranno a pagare in contanti, magari bloccando la fila per minuti, o peggio, subendo ulteriori costi da commissioni o dispositivi obsoleti?
E poi c’è il solito, eterno tema della retorica nazionale: il ponte come simbolo di riscatto del Sud, della modernizzazione, dell’unità del Paese. Ma è davvero così? O è solo l’ennesima occasione per fare cassa sulle spalle degli automobilisti, sempre più tartassati da una politica miope e distante dalla realtà?
Il sospetto è che, più che un’infrastruttura utile, questo ponte sia diventato il nuovo gratta e vinci per lo Stato. Si costruisce, si inaugura, si fotografa e si monetizza. Senza pensare alle ricadute vere, quelle che ogni giorno affrontano cittadini e pendolari.
Per capirci: 10 euro è quanto una pizza margherita, un biglietto del cinema in sala premium, un panino gourmet, due corse in metropolitana a Milano. E in cambio, si ottiene poco più di una manciata di minuti di guida. Il paragone con il traghetto non regge, perché si tratta di servizi diversi — ed è proprio il Codacons a chiarire che il raffronto deve avvenire solo con infrastrutture autostradali e non con trasporti marittimi.
Ma se proprio volessimo guardare anche lì, il traghetto Villa San Giovanni–Messina costa in media dai 38 ai 50 euro per auto, incluso il passeggero, per un tempo di attesa e traversata che può superare i 40 minuti. Il ponte promette tempi ridotti — ma a che prezzo?
E poi: davvero tutti saranno disposti a spendere 20 euro (andata e ritorno) per attraversarlo ogni giorno? O si finirà per usare ancora i traghetti, con la conseguenza che l’infrastruttura resterà semi-vuota, mentre a pagare il conto saranno i cittadini italiani, attraverso fondi pubblici già stanziati e futuri rincari?
E mentre si stanziano miliardi per questo simbolo, le strade della Sicilia e della Calabria cadono letteralmente a pezzi. Intere tratte sono chiuse, la viabilità è precaria, i trasporti pubblici inesistenti, le linee ferroviarie obsolete. I fondi che oggi vanno al Ponte, domani potrebbero servire per mettere in sicurezza le strade, migliorare la mobilità interna, creare un vero sistema di trasporto sostenibile.
Invece, ancora una volta, si punta sull’effetto wow. Sull’opera che fa notizia, sulle foto da tagliare il nastro. Peccato che tra i sogni e la realtà ci sia di mezzo il portafoglio degli italiani. E stavolta — come troppe altre volte — non si tratta di un dettaglio.
Il dibattito sul Ponte sullo Stretto non può più essere affrontato solo con slogan o numeri isolati. Qui si parla di scelte politiche strutturali, di come lo Stato vede i suoi cittadini, e in particolare quelli del Sud. La sensazione, amara, è che si continui a investire in opere faraoniche dimenticando che prima di attraversare lo Stretto, servirebbe mettere in condizione le persone di arrivarci.
I dati, i numeri, le percentuali servono, ma non bastano. Perché c’è una domanda che brucia più di tutte: a chi serve davvero questo Ponte? Agli automobilisti o alle imprese costruttrici? Alla mobilità o alla propaganda?
Sia chiaro: nessuno è contrario al progresso, né alle grandi opere se ben fatte e con logica. Ma che non si venga a dire che questo ponte sarà una svolta, se poi per attraversarlo ci vogliono quasi tre euro a chilometro. È uno schiaffo all’intelligenza. E soprattutto, all’automobilista italiano.
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