Fiat 500L 1.3 Multijet Lounge, largo al Cinquone

Fiat 500L prova su strada

di Redazione

26.03.2013 ( Aggiornata il 26.03.2013 13:42 )

Presentazione

Com’era il caffè? Ottimo, grazie: cremoso e bollente. Però ce lo siamo presi al bar. Perché la trovata, un po’ inutile ma molto geniale, della macchinetta per farsi l’espresso a bordo che sul web ha animato dibattiti dai toni degni di più elevate cause, non sarà disponibile che da fine anno. Meglio. Non solo per lo smisurato apprezzamento che riserviamo alla tazzina del nostro barista di fiducia.

Perché così possiamo concentrarci sulla 500L per quello che è: una macchina che, d’accordo, ti fa persino il caffè. Ma fa anche — e bene — le molte altre cose per cui è stata principalmente progettata. In seno alla gamma Fiat, intanto, ha un compito non banale. Non solo e non tanto deve rimpiazzare assieme Idea e Multipla, due modelli vecchi che ormai vendevano poco. Deve pure cercare di intercettare clienti magari orientati sulla Punto che, arrivata al suo secondo restyling, non è più — a sua volta — una ragazzina. Certo, la “elle” è un’altra cosa, ma con suppergiù gli stessi ingombri (solo 7 centimetri in più in lunghezza per un totale, “umanissimo”, di 4 metri e 15) ti porti a casa un miniappartamento, con 3,17 metri di cubi di volume utile. Dato accademico? Può darsi. Mettiamola così, allora: ha un baule di 400 litri regolare quanto basta per caricare, viaggiando in cinque, i trolley di altrettante persone.
 
Poi, certo: per accalappiare simpatia e contratti, si è travestita (nel muso e nel nome) da 500, tentando di creare un brand nel brand e ispirandosi all’esempio della Mini. E non solo a livello di marketing, viste certe somiglianze con la Countryman. Però che non abbia meccanicamente nulla a che vedere con le altre 500 questo, ormai, lo sanno anche i bambini. Infatti la base meccanica su cui poggia è quella della futura, rinviatissima, Punto 4. E che la Fiat ci creda tanto, nella sua piccola monovolume, lo conferma un fatto: per produrla ha tirato su una fabbrica nuova in Serbia, certo sfruttando a tale scopo le agevolazioni statali che le hanno permesso di trasformare la ex Zastava in una Pomigliano-bis. E se poi le altre fabbriche italiane, Cassino o Melfi, rischiano di saltare; e se Mirafiori non salterà solo perché Torino non si tocca, è la globalizzazione, bellezza.

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